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Alcuni giorni fa, è comparsa la notizia secondo cui l’Ofac (Office of Foreign Assets Control) organismo di controllo dipendente dal dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, ha inserito nelle sue liste due aziende italiane e quattro persone fisiche, sospettati di avere rapporti con aziende russe, anche indirettamente mediante triangolazioni finanziarie e/o commerciali.

La meritoria attività svolta da organismi come questo, la cui importanza si è accresciuta nel tempo grazie alla lotta al finanziamento del terrorismo dopo l’undici settembre, talvolta ci pone alcuni interrogativi che vorrei in questa sede esaminare. In particolare, rifacendomi al titolo, l’Ofac “sospetta”, essendo un enforcement agency, ossia svolge “indagini” e quindi deduce determinate situazioni, inaudita altera parte, come dicevano i nostri padri.

Essere inseriti tra i target Ofac è, di per sé, un serio problema: da un lato, si viene additati, senza possibilità di contraddittorio, come soggetti economici “sospetti” quindi pericolosi, con conseguenze di immagine che, grazie al web, si diffondono in tutto il mondo con ricadute pesantissime a livello reputazionale; dall’altro, l’attività commerciale dell’azienda subisce un arresto, in quanto il sistema bancario prende le distanze dal “sospettato”, i conti vengono congelati o chiusi, i fornitori ed i  clienti si allontanano perché non conviene essere in affari con aziende listate Ofac. Questo, in sintesi, senza volere, in questa sede, approfondire altre tematiche connesse (una per tutte: la possibilità di mettere fuori gioco concorrenti industriali con il solo uso di un “sospetto”).

Alla stregua delle liste dei “sospetti” Ofac ci sono altri provvedimenti, ossia quelli emessi dall’Unione europea in ambito Pesc (Politica estera e di sicurezza comune), al fine di preservare la pace, rafforzare la sicurezza internazionale, promuovere la cooperazione internazionale e sviluppare e consolidare la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Fatte salve le indiscutibili e meritorie attività in ambito Pesc, occorre tuttavia svolgere un’ulteriore analisi sui provvedimenti emessi, affinché sia possibile comprendere la consistenza e il sottostante giuridico dei provvedimenti adottati. Da ultimo, infatti, a seguito dell’invasione russa nei confronti dell’Ucraina, sono stati adottati provvedimenti (in Italia e in Europa) di “congelamento” di beni a carico dei cosiddetti “oligarchi”, estendendo le sanzioni già previste per i terroristi, a chiunque fornisca sostegno materiale o finanziario al governo della Federazione Russa e agli imprenditori di spicco o persone giuridiche, entità od organismi che operano in settori economici che costituiscono una notevole fonte di reddito per il governo della Federazione Russa.

Il sistema sanzionatorio predisposto dall’Unione europea, per l’invasione illegittima dell’Ucraina, nei confronti dei presunti fedelissimi del presidente russo, Vladimir Putin, al di là di ogni considerazione circa l’opportunità e/o l’efficacia persuasiva di queste misure, sul piano strettamente giuridico rischia di essere un vero e proprio atto senza effettive basi giuridiche.  Infatti, scorrendo i vari provvedimenti di inclusione di persone fisiche tra i destinatari di siffatte sanzioni, è facile poter leggere quante di queste siano “accusate” con l’ampio uso di verbi al condizionale, senza nessun elemento che provi una connessione giudico-finanziaria tra costoro e il governo russo.

Torna quindi l’accusa basata sul “sospetto”, inteso come unica formula valida e senza che vi siano formule ben più ampie (sentenze, provvedimenti giurisdizionali di corti internazionali) che giustifichino l’adozione di tali provvedimenti che, ricordiamo, sono il “congelamento” dei beni (e sulla cui applicabilità e configurazione giuridica insiste un ampio dibattito dottrinale) nonché il divieto di circolazione di tali soggetti sul suolo comunitario.

A tale ultimo proposito, essendo tale disciplina mutuata da quella sul contrasto al terrorismo, il divieto di circolazione sul territorio europeo per un presunto terrorista (il quale può agire anche in totale isolamento e farsi esplodere nel bel mezzo di una comunità in un attacco suicida) è quanto di più opportuno per poter preservare la sicurezza dei cittadini; ma a cosa serve impedire la circolazione e la residenza agli oligarchi quando la finanza (nel senso di finanziamento) può operare senza limitazioni territoriali?

Si tratta, quindi, di decisioni significativamente incidenti sulle libertà personali, ancor prima di una formale contestazione e indipendentemente dall’apertura di un’indagine; il tutto basato, in molti casi, su dei “sospetti”.

Nel nostro Paese, che attua i provvedimenti comunitari grazie al Comitato di sicurezza finanziaria ed alla Guardia di Finanza (Nucleo speciale di polizia valutaria), tali operazioni hanno avuto un momento di “equilibrio” grazie al decreto del ministro dell’eEonomia e delle finanze numero 203 del 20 ottobre 2010: infatti, nelle materie di competenza indicate nell’articolo 1, comma 2 del citato regolamento, il Comitato esercita(va) in particolare le seguenti funzioni:

  1. formula(va) alle competenti autorità delle Nazioni unite e dell’Unione europea proposte di designazione di individui o entità in base agli elementi informativi e ai dati ricevuti dalle competenti autorità ai sensi degli articoli seguenti del presente regolamento;
  2. valuta(va) le istanze di esenzione dal congelamento di fondi e risorse economiche presentate dai soggetti interessati, secondo quanto disposto dai regolamenti comunitari o dai decreti di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109;
  3. formula(va) alle competenti autorità delle Nazioni Unite e dell’Unione europea proposte di cancellazione dalle liste di soggetti designati, sulla base anche delle istanze presentate dai soggetti interessati;
  4. riceve(va) le comunicazioni dei provvedimenti di irrogazione delle sanzioni per le violazioni degli obblighi previsti in materia da parte delle autorità che applicano le sanzioni stesse;
  5. propone(va) l’adozione dei decreti di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109.

È chiaro che nel nostro Paese era in vigore uno strumento correttivo, in cui il Comitato assumeva, con proprie attività info-investigative, elementi valutativi (pur sempre attività di enforcement svolte da Guardia di Finanza e altri uffici) che consentivano anche il delisting, su input di parte e ovvie verifiche. C’era, quindi, la possibilità di un contraddittorio tra la persona inserita negli elenchi e l’organismo deputato all’esecuzione dei provvedimenti di congelamento che ribadisco, si basano quasi sempre su altrettante attività di enforcement, nel migliore dei casi.

Oggi, anzi dal 22 aprile 2022, con il decreto del ministro dell’Economia e delle finanze n. 59, questa facoltà e questa possibilità di verifica e controllo è stata abrogata. Restiamo così un Paese dove, a causa di sospetti targati Ofac o Pesc, molti soggetti (persone fisiche e giuridiche) perdono titolarità di beni e operatività finanziarie, negando o rendendo moto difficile l’immediato esercizio di diritti costituzionalmente garantiti (e non solo nel nostro Paese).

Il danno, oltre che di immagine (ma siamo in buona compagnia) lo è anche dal punto di vista erariale. Infatti, il governo italiano ha l’obbligo, durante questo periodo di “congelamento” dei beni, di provvedere alle spese per la manutenzione degli stessi, mediante l’Agenzia del demanio. Si tratta di manutenere imbarcazioni, velivoli, ville, il cui costo è assolutamente esoso (si calcola un esborso medio annuo di circa 40 milioni anno da parte dell’Agenzia del demanio). Cui prodest?

In uno Stato di diritto, come il nostro, le garanzie legate alla tutela della proprietà privata e alla libera circolazione debbono essere garantite e, allo stesso tempo, negate solo di fronte a concreti elementi di giudizio, da cui si evinca in maniera incontrovertibile che quella persona o quella società o quei beni sono legati, politicamente e soprattutto finanziariamente all’architettura bellica dello Stato aggressore o di una organizzazione terroristica.

Per esempio, qualora il “trust” che detiene beni asseritamente a disposizione del tale oligarca veda tra i suoi beneficiari persone o enti che potrebbero finanziare l’attività bellica in atto, individuando flussi finanziari che dallo stesso trust finiscano nelle mani del “sistema bellico”, si potrebbe parlare di “sospetto fondato” o di “elemento incontrovertibile”. Ma in assenza di tali elementi, come può essere possibile che tali beni vengano sottratti al loro legittimo proprietario?

Vale, quindi, ribadire l’importanza di dover fornire il Paese, e il sistema giuridico interno, di uno strumento di controesame tecnico giuridico alle esternazioni e ai sospetti di organismi “terzi” al nostro ordinamento  (come Ofac e Pesc) al fine di poter verificare, anche in contraddittorio con le parti interessate, la fondatezza dei sospetti, prima di emettere qualsivoglia provvedimento di sequestro o confisca, anziché dover subire passivamente deduzioni tecniche spesso basate solo su elementi sulla cui fondatezza potrebbe essere sollevato più di un dubbio.

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Di Paolo Costantini

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