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Bastonare il cane che affoga? Oppure salvarlo per garantirsi la sua riconoscenza? Anche se può sembrare incredibile, il cane da affogare, o salvare, si chiama Angela Merkel, la donna più potente al mondo. Appena un mese fa il settimanale Time l’ha incoronata come personaggio 2015 per la generosa accoglienza di un milione di profughi siriani. Ma ora un altro giornale americano, il New York Times, straccia la copertina di Time e fa proprio il detto di Mao sul cane da bastonare, invitando la cancelliera a dimettersi perché quell’accoglienza è stata «una follia di nobili principi e ideali», che rischia di costare alla Germania un prezzo troppo elevato. Alle bastonate si è associato anche il Financial Times, che prevede nel 2016 le dimissioni della Merkel a causa dell’impossibilità di integrare in breve tempo un milione di disperati nella società e nella cultura tedesca, impossibilità di cui le violenze sessiste sulle donne di Colonia sono state una tremenda conferma.

Tra coloro che, invece, suggeriscono di andare in soccorso della cancelliera c’è Stefano Folli, il quale su Repubblica sostiene che i recenti attacchi di Matteo Renzi alla Merkel sono «un gioco pericoloso», che non giova a nessuno, né a riformare l’Europa, né a ricavare qualcosa di buono per l’Italia (meno austerità e più gasdotti), e lo invita per questo ad «aiutare la Merkel nelle attuali difficoltà, anziché unirsi al linciaggio». Per il momento, Renzi non sembra avere alcuna intenzione di correggere il tiro. Ha fatto dire al fido Sandro Gozi che il suo governo «sta riformando l’Italia, e vuole riformare anche l’Europa». Poi, intervistato dal Tg1, si è detto più in sintonia con la politica espansiva di Barack Obama che con quella dell’austerità e dei compiti a casa. Un braccio di ferro politico, quello con la cancelliera, che ha una buona visibilità sui media, ma non ha prodotto risultati concreti: la maggiore flessibilità chiesta a Bruxelles sulla manovra 2016 non ha avuto risposte incoraggianti, mentre ci hanno di certo danneggiato le recenti imposizioni Ue sul “bail in” delle banche, e il veto agli aiuti di Stato per salvare l’Ilva di Taranto.

Tra le bastonate e il soccorso gratuito, c’è però una terza via: avviare una trattativa su alcune questioni concrete, dove sia l’Ue che la Germania hanno un tallone d’Achille indifendibile. In proposito, il suggerimento più interessante viene da Salvatore Bragantini, che sul Corriere della sera ha invitato Renzi a lasciar perdere le polemiche sterili, come quella per sostituire con un altro italiano il funzionario estromesso dal gabinetto di Jean-Claude Juncker, e le proteste per il raddoppio del North Stream, deciso alla chetichella dai tedeschi, per poi accontentarsi di qualche commessa per la posa dei tubi, peraltro immediatamente rifiutate dall’Eni. «Serve un esempio di come aprire una nuova era?», scrive Bragantini. Eccolo: «Se gli aiuti di Stato sono vietati, e la qualità dell’aria è vitale, occupiamoci del Dieselgate». Vale a dire della colossale frode commerciale messa in atto dalla Volkswagen, casa automobilistica tedesca con un grande azionista pubblico, il Land della Sassonia, che ha il 20% del capitale sociale.

A seguito delle azioni giudiziarie intraprese negli Stati Uniti, dove la frode è stata scoperta, la VW rischia di dover pagare 45 miliardi di dollari di penali. Ecco il tallone d’Achille della Germania: se la disciplina europea sugli aiuti di Stato è valida per tutti, è qui che Renzi deve fin d’ora accendere i fari sull’operato del governo di Berlino e dell’Unione europea. Infatti la Volkswagen ha venduto in Europa molte più auto inquinanti che negli Usa, quindi ha consumato una truffa ancora più grande, di cui il governo tedesco difficilmente era all’oscuro. Ma che cosa ha fatto finora la casa tedesca per porre riparo ai danni economici e ambientali prodotti in Europa, truffando regolatori e clienti? Purtroppo, poco o nulla: si era impegnata a presentare entro la fine dell’anno all’Ue un piano per rientrare nei parametri anti-inquinamento, ma non lo ha ancora fatto. Cosa aspetta Renzi a mettere spalle al muro Juncker su questa inadempienza tedesca?

Bragantini non va oltre. Ma il suo suggerimento può essere usato come arma per ammorbidire Berlino e Bruxelles su un’altra questione di vitale interesse per l’Italia, come l’Ilva di Taranto. Qui tutti i progetti di salvataggio, elaborati finora dal governo, sono finiti nel nulla per l’intransigenza dei magistrati (diventati i veri padroni dell’impianto), ma anche per il veto europeo agli aiuti di Stato. Una situazione kafkiana, che ha indotto un consulente esperto come Gianfilippo Cuneo a suggerire di restituire l’Ilva alla famiglia Riva, un privato, proprio per sottrarla ai veti Ue sui beni pubblici. Ebbene, se l’obiettivo è di salvare due colossi nei guai, che differenza c’è tra l’Ilva e la Volkswagen? Cosa aspetta Renzi a porre alla Merkel e a Juncker questa semplice domanda?

(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)

Ecco il tallone d'Achille della Germania

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