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Venerdì un attentatore suicida s’è fatto esplodere davanti ad un ristorante francese a Kabul, provocando la morte di due persone e il ferimento di altre 15 (di cui alcune gravi). L’attacco è stato rivendicato attraverso il sito internet ufficiale dai Talebani, che sono tornati a colpire un luogo frequentato da stranieri nella capitale afghana. Il ristorante si trova nel quartiere di Taimani a Kabul City: la zona è poco distante dall’ambasciata spagnola, che fu colpita durante un attacco ad un albergo contiguo avvenuto sempre per opera degli insorti a dicembre, ed in cui rimasero uccise sei persone tra cui due poliziotti spagnoli. L’area di Taimani, che ospita diverse rappresentanze diplomatiche al centro di Kabul, era stata segnalata già ad agosto come sensibilmente interessata da attentati contro stranieri in un report dell’ambasciata americana in Afghanistan (che si trova nei paraggi).

IL VULCANO AFGHANO

L’Afghanistan è tornato ad essere un vulcano: da un lato i talebani sono di nuovo violentemente all’offensiva, conquistando circa il 30 per cento dei distretti provinciali (non controllavano tanto territorio dal 2001, prima dell’intervento militare americano che mise fino alla dittatura che il gruppo islamista aveva instaurato); dall’altro lo Stato islamico, che ha fondato una provincia nel Khorasan e tende ad aumentare la propria influenza verso oriente; contemporaneamente al Qaeda che sta riemergendo, dopo aver trovato nel paese protezione e vigore, tramite una nuova filiale che avrà il compito di esportare il brand jihadista nel subcontinente indiano.

DIVISIONI INTERNE

Di questi tre fattori, il più combattuto e dibattuto è il ri-infiammarsi della lotta talebana, con abbinati i successi territoriali. Come già evidenziato più volte, diversi esperti concordano che tale avanzata si lega alle divisioni interne al gruppo. La leadership del Mullah Akhtar Mansour, che ha sostituito il capo storico dell’organizzazione, il Mullah Omar, la cui morte è stata ufficialmente annunciata a luglio di quest’anno, non è mai stata condivisa, e diverse fazioni (già esistenti) sono entrate in lotta interna. Automaticamente, queste entità stanno cercando di consolidare il proprio controllo di territorio per imprimere potere e potenza (i talebani afghani sono realtà territoriali, locali e nazionalistiche).

ERRORI DI VALUTAZIONE

Funzionari di Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti, e Cina, si riuniranno l’11 gennaio in Pakistan per gettare le basi per futuri colloqui con gli insorti: questi governi hanno creduto che la leadership del gruppo succeduta al Mullah Omar potesse essere più aperta e morbida per una pacificazione. I fatti indicano che c’è stato un’evidente errore di valutazione: un altro, dopo la decisione di lasciare la Sicurezza esclusivamente in mano alle forze afghane, che si sono mostrate ancora impreparate e non reggono per il momento il confronto con i ribelli. Senza l’intervento delle truppe occidentali ancora presenti sul posto, l’esercito locale (malmesso se non nel caso del reparto delle forze speciali), non sarebbe riuscito a respingere i principali attacchi talebani degli ultimi tempi. Tuttavia, i ribelli islamisti controllano adesso la maggior estensione di territorio dal 2001, anno in cui il regime sharitico che avevano instaurato, luogo di protezione di al Qaeda, è stato demolito dall’intervento militare Nato.

LA LETTERA CHE SPIEGA LA FAIDA

Qualche giorno fa, il New York Times ha pubblicato un articolo in cui raccontava di aver preso visione di una lettera che potrebbe rappresenta il principale documento per leggere la situazione attuale in Afghanistan. È stata scritta dai chierici talebani rifugiati nell’area di Quetta, in Pakistan, e si parla della rivalità tra il Mullah Mansour e il suo nemico storico, Mullah Qaymun Zakir, ex detenuto di Guantanamo e comandante talebano. Nella lettera, la cui autenticità sarebbe stata comprovata da alcuni leader dei Taliban stessi, è scritto che i chierici del gruppo non vogliono dare legittimità religiosa a Mansour. Una questione non marginale: si ricorda infatti, che il suo predecessore, il Mullah Omar, era Amīr al-Muʾminīn, ossia “comandante dei credenti”, titolo che storicamente i califfi ereditavano direttamente da Maometto. (Questo ruolo era riconosciuto ad Omar anche da al Qaeda e dal suo fondatore Osama Bin Laden; da qui nasce l’inconciliabilità di fondo tra Taliban e Isis, in quanto i baghdadisti riconoscono nel Califfo Baghdadi il ruolo di Amīr al-Muʾminīn).

Questa diatriba interna, si traduce con azioni violente all’esterno nell’ottica di consolidare ognuno il proprio potere. Nella provincia di Helmand, l’ultimo dei fronti aperto in ordine cronologico, stanno combattendo sia le forze talebane di Mansour sia quelle del Mullah Zakir, che secondo alcune testimonianze sono quelle che si sono date più da fare, perché conquistare territorio nell’Helmand significa prendere il controllo di uno dei principali bacini di reclutamento e di entrate economiche legate al commercio di oppio.

Le lotte interne tra i talebani afghani

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