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Le grandi multinazionali dell’oil&gas hanno capito che aria tira in Italia e se ne stanno andando: è notizia di pochi giorni fa che la Shell ha deciso di non investire i 2 miliardi in precedenza previsti nello Jonio. Investiranno altrove, non importa dove, ma non più nel nostro paese. Poi a chi toccherà? Quando le multinazionali estere avranno levato le tende magari toccherà alle nostre aziende italiane, quali Eni o Edison per esempio. E per chi si sta opponendo all’attività di estrazione nel nostro Paese questa è una vittoria. Ma lo è davvero? Forse se lo chiediamo alle imprese e ai lavoratori del settore, sia direttamente sia nell’indotto, ho la sensazione che la risposta sarebbe invece “è una sconfitta”.

Personalmente ho deciso da che parte stare: con i lavoratori che stanno rischiando di non avere più un’occupazione, soprattutto se nel referendum del 17 aprile sulle estrazioni a mare vincessero le posizioni delle Regioni promotrici che l’hanno promosso, con in testa la Basilicata, ovvero la Regione che deve parte della sua ricchezza alle estrazioni di risorse fossili ‘a terra’. Se invece grattiamo via le differenti retoriche con cui il problema viene affrontato resta una cosa soltanto: migliaia di lavoratori e le loro famiglie sono col fiato sospeso perché rischiano domani di non avere più un reddito con cui vivere.

Per questo ho deciso di impegnarmi in prima persona e dare il mio modesto contributo per cercare di evitare ciò che sta succedendo a un settore di punta del nostro tessuto industriale. Il quale, solo prendendo in considerazione l’indotto, sviluppa miliardi di fatturato e assicura, come accennavo, migliaia di posti di lavoro. E genera una ricchezza che, vale la pena ricordarlo, resta nei territori contribuendo a sostenerne il welfare.

Di fronte a una spinta distruttrice è mia convinzione che occorra una reazione: per questo ho iniziato a girare per l’Italia rendendomi disponibile a partecipare, anche in veste di relatore a iniziative che abbiano come protagonisti lavoratori e imprese del settore oil&gas. E per questo ringrazio Formiche.net perché mi concede l’opportunità di presentare la mia proposta, dandole rilievo. Sono stato a Benevento, dove il Pd ha organizzato un incontro intitolato appunto ‘Politica energetica tra esplorazioni petrolifere e referendum’. Presto sarò in Basilicata, ma sono deciso a recarmi dovunque ci si confronti su cosa deve fare l’Italia per salvare il suo distretto oil&gas ed evitare che migliaia di propri cittadini  restino senza lavoro.

Dove intervengo cerco di affrontare le questioni che ritengo importanti in questo momento. In primo luogo, stiamo rischiando una vera e propria “morte annunciata di un distretto industriale” che coinvolge le imprese che operano nella cantieristica navale e nell’impiantistica. Un declino che i dati Unioncamere fotografano perfettamente: nel periodo 2009-2014 le perdite di posti di lavoro nella “blu economy” (come viene chiamata l’economia legata al mare), sono state soprattutto a scapito della cantieristica, con una contrazione di 15mila posti in tutta Italia. Per rifarsi a un dato più recente, che riguarda l’impiantistica e la cantieristica offshore ravennate, negli ultimi 6 mesi quasi 900 persone su un totale di 6.700 hanno perso l’occupazione. Per questo Ravenna conosce bene il problema e le sue conseguenze: una prova è che le società sportive di Basket e Pallavolo hanno deciso di manifestare pubblicamente, in occasione di incontri importanti di campionato, l’appoggio ai lavoratori e alle imprese del distretto locale.

Credo che sia importante ribadire che questo non deve succedere. Che un Paese moderno e civile si prende cura dei propri cittadini in difficoltà, non li mette in un angolo appellandosi a motivazioni ideologiche nascoste dietro presunte prove scientifiche.

Penso che invece dovremmo ragionare sulle cose come sono, cercando soluzioni ragionevoli per tutti. Ripeto, per tutti. Mai come adesso le scelte che dovrà fare la classe dirigente di questo Paese influenzeranno il nostro futuro. Questo perché gli effetti della crisi economica non sono ancora stati davvero superati e ogni attività, ogni aspetto della vita sociale ne sono influenzati. E tra le situazioni in bilico, che potrebbero risolversi in maniera differente a seconda delle scelte fatte, una delle importanti è proprio quella delle concessioni per le estrazioni di gas naturale in mare.

La mia proposta? È semplice. E ci si può ragionare, anzi si deve, per migliorarla. Dobbiamo costruire un percorso che ci porti in un futuro dove utilizzeremo solo fonti rinnovabili, ma un passo alla volta, sapendo che ci sarà per forza una transizione – a meno che qualcuno non salti fuori impugnando una bacchetta magica – nella quale dovremo continuare a utilizzare le fonti fossili e in particolare il gas naturale.

Perché quando si toglie un elemento fondamentale in un sistema complesso, questo va sostituito con un elemento altrettanto forte. Altrimenti il sistema crolla. Se chiudiamo un’attività produttiva, dobbiamo già avere la risposta occupazionale per chi resterà senza lavoro. Altrimenti creeremo miseria, non futuro.

Buon senso quindi e non ideologia, perché vogliamo tutti la stessa cosa, un futuro pulito. Al quale però, mi si permetta la battuta, dobbiamo arrivarci vivi. E tutti insieme.

Questo ho detto a Benevento, questo continuerò a ripetere fino al referendum. Io sto con i lavoratori del distretto offshore, ma anche con quelli del petrolchimico: sono due elementi di un sistema integrato che è un’eccellenza non solo a Ravenna ma in tutta Italia.

Perché difendo la blu economy dagli assalti dei No Triv

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