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Domanda: il governo ha favorito o no la Banca Etruria o gli ex amministratori dell’istituto aretino?

È questo l’unico, vero, interrogativo al quale devono rispondere coloro che invocano – senza una prova – le dimissioni del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, figlia di Pierluigi Boschi, vicepresidente per otto mesi della Banca Etruria e del Lazio.

Il resto è fuffa, anzi speculazione politica e giornalistica.

Al momento è da chiarire solo un aspetto giuridico legato alla responsabilità di amministratori ed ex amministratori di banche commissariate, come si rileva da un recente procedimento del governo (qui un articolo di approfondimento, in attesa di ulteriori chiarimenti).

Ma la savianata della richiesta di dimissioni non è l’unica baruffa degna di miglior causa. Altre istituzioni, magari al di là delle reali intenzioni, hanno allestito un teatrino con esercizi tipici dello sport chiamato Scaricabarile.

La maggioranza e lo stesso premier non hanno ostacolato, anzi, l’idea di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta per dimostrare magari che la Vigilanza della Banca d’Italia non ha vigilato abbastanza. L’Istituto centrale governato da Ignazio Visco ha voluto rassicurare tutti con un’intervista del direttore generale Salvatore Rossi che, con una certa soavità, a proposito delle obbligazioni subordinate appioppate a risparmiatori forse non troppo consapevoli della differenza fra azioni, obbligazioni e obbligazioni subordinate, ha detto che a sorvegliare sui prodotti finanziari doveva essere la Consob. Non solo: Rossi ha pure ricordato che da tempo la Banca d’Italia auspicava una legge per vietare la vendita alla clientela retail dei bond subordinati. Perbacco: ma la Banca d’Italia conta davvero poco a tal punto da non farsi sentire neppure dai governi e dal Tesoro? E vista l’inerzia del legislatore, non poteva convincere con una tosta moral suasion il sistema bancario a considerare la sua idea una regola da rispettare comunque?

Nel giochetto dei rimpalli delle responsabilità non poteva esimersi la Consob. Silurata di fatto dal governo, che ha escluso la Commissione che vigila sulla Borsa e le società quotate dagli arbitrati caso per caso in fieri per un ristoro parziale dei titolari di bond subordinati delle banche “salvate” (bond divenuti carta straccia), l’autorità presieduta da Giuseppe Vegas ha replicato sia al governo sia alla Banca d’Italia (qui tutti i dettagli e gli approfondimenti sulle tensioni fra governo, Bankitalia e Consob).

Sullo sfondo, resta la polemica sulla mossa in extremis del governo. Per questo Formiche.net ha scritto: c’era davvero una reale alternativa al decreto approvato dal governo il 22 novembre che ha “sistemato” le quattro banche (Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di Ferrara e Cassa di Chieti), tutelando l’occupazione, i correntisti e una parte degli obbligazionisti?

Le strade per cercare di salvare le banche interessate erano in sostanza quattro, escludendo un salvataggio con risorse statali che non è più possibile in base alle regole europee.

La prima era quella di un intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi bancari (Fitd) con iniezioni di capitale nelle banche in questione. Secondo gli uffici della Commissione europea, però, l’intervento sarebbe stato un aiuto di Stato, quindi vietato. Il motivo? La partecipazione degli istituti di credito al Fitd è obbligatoria. Una tesi contestata quasi da tutti (a parte l’economista Alessandro Penati). Compreso il ministero dell’Economia che a Bruxelles non tocca palla, o quasi, dicono i critici del dicastero retto da Pier Carlo Padoan. Chi difende il Tesoro svela che gli uffici della Commissione europea avrebbero dato il via libera al progetto del governo e della Banca d’Italia solo a patto che fossero stati spennati pure gli obbligazionisti, non solo quelli subordinati. Nel frattempo, mentre tutti erano a conoscenza del segreto di Pulcinella che in pubblico negavano (ossia che Bruxelles contraria all’intervento dei Fitd), lo stesso Fondo si profondeva in rassicurazioni e annunci (per non parlare di report e consulenze commissionate per operazioni tanto vagheggiate quanto improbabili).

Conclusione: il governo ha preferito la seconda strada, ossia il ricorso al Fondo di Risoluzione, previsto dalla direttiva europea Brrd: a pagare sono stati azionisti e obbligazionisti subordinati (ossia titolari di bond a rischio più elevato rispetto alle obbligazioni “normali” e assimilabili a quote di capitale).

È stata dunque imboccata questa via per evitare la terza strada, giudicata disastrosa. Ossia la liquidazione delle quattro banche. E cosa sarebbe successo con la liquidazione? Ecco cosa ha detto Bankitalia in un’audizione parlamentare: sarebbero andati in fumo 12 miliardi di massa “non protetta”, inclusi i 2,4 miliardi di obbligazioni non subordinate. Insomma, sarebbe stato applicato il bail-in dei creditori, che sarà obbligatorio dal primo gennaio per le banche in crisi.

In altri termini, senza il decreto del governo, alle 200mila piccole imprese con affidamenti nelle quattro banche si sarebbe dovuto chiedere il rientro immediato. E sarebbero stati tutelati soltanto i portatori di depositi garantiti, sacrificando i crediti di un milione di risparmiatori e i posti di quasi seimila lavoratori.

C’era infine una quarta strada, come si evince dagli spifferi di Bruxelles citati dall’Ansa. C’era la possibilità che a salvare le banche fossero “fondi privati”. Che significa? Che cosa intende Bruxelles per “fondi privati” che avrebbero potuto salvare i quattro istituti di credito? Ecco quello che ha detto una fonte bancariaFormiche.net: “Con quelle parole, presumibilmente Bruxelles intende che i consigli di amministrazione delle banche italiane, volontariamente, avrebbero deliberato l’ammontare di risorse necessarie al salvataggio dei quattro istituti. Ma siamo sicuri che tutte le banche avrebbero partecipato? Per questo, forse, il governo e Bankitalia hanno scelto la strada del Fondo di risoluzione”.

E ora? Tutto è nelle mani degli uomini della Banca d’Italia. Eppure – si bisbiglia in ambienti finanziari – alcuni degli stessi alti funzionari di Palazzo Koch che non avevano vigilato in passato come si doveva nelle quattro banche poi commissariate, ora si occuperanno della bad bank frutto della “risoluzione” dei quattro istituti di credito.

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