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L’ambiente certo, ma anche, o forse soprattutto, il denaro. Ci sono i soldi dietro la guerra che il presidente della Puglia Michele Emiliano sta scatenando contro il governo sul progetto Tempa Rossa (per sapere cos’è e come funzionerà, leggere qui l’articolo di Formiche.net). Risorse fresche e sonanti che il colosso francese Total verserà per la gestione e lo sfruttamento del maxi giacimento petrolifero, diventato famoso negli ultimi giorni per le dimissioni dell’ormai ex ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi.

IL NODO DELLE ROYALTIES

Tecnicamente vengono chiamate con il termine inglese royalties. Espressione usata per indicare la somma di denaro che l’utilizzatore di un determinato bene – in questo caso il petrolio – deve versare a chi ne è proprietario. Fondi destinati al territorio della Basilicata dove si trova il giacimento, che sorge nella Valle del Sauro, in provincia di Potenza, tra i comuni di Corleto Perticara e Gorgoglione. Alla Puglia governata da Emiliano, invece, non spetterà alcunché, nonostante la regione sia coinvolta comunque nel progetto.

TEMPA ROSSA E LA PUGLIA

Il petrolio, infatti, sarà estratto e trattato negli impianti della Basilicata ma dovrà poi essere trasferito in Puglia, alla raffineria Eni di Taranto, per essere stoccato e, quindi, da lì venduto all’estero. Inevitabilmente, qualche ricaduta per il territorio ci sarà. Nel senso che nell’area della raffineria di Taranto dovranno essere costruiti due serbatoi per lo stoccaggio del greggio, rispettivamente da 120 e 60 mila tonnellate. Inoltre, nei calcoli elaborati dalla stessa Total (e consultabili qui) si prevede che con l’opera aumenti il traffico navale nel porto di Taranto. La stima in questo senso è di 90 petroliere l’anno, da sommare alle circa 50 che già oggi attraccano in zona.

I SOLDI PER LA BASILICATA

Valore delle royalties che Repubblica, in un articolo firmato ieri da Paolo Griseri, quantifica in 168 milioni di euro nel solo 2015: quasi 143 destinati alla regione Basilicata e oltre 25 che andranno ai comuni lucani in cui si trovano gli 8 pozzi di petrolio del progetto Tempa Rossa. Come detto, rimarrà, invece, a bocca asciutta Emiliano, al quale – con l’emendamento alla legge di stabilità del 2015 al centro della vicenda Guidi – è stata, inoltre, tolta ogni voce in capitolo.

EMILIANO E L’EMENDAMENTO

L’emendamento della discordia stabiliva, tra le altre cose, che la decisione di costruire i due serbatoi di Taranto – vista l’importanza strategica dell’opera per il sistema Italia nel suo complesso – fosse appannaggio del governo e non della regione. Senza soldi e senza più il potere di incidere – e di bloccare – Emiliano ha finito con l’optare, come spesso gli capita, per la polemica spinta. Nei mesi scorsi si era anche investito della questione la Corte Costituzionale, la cui sentenza – come ricorda sempre Griseri su Repubblica – dovrebbe arrivare a maggio. Nel frattempo il governatore della Puglia ha alzato fortemente l’asticella dello scontro, approfittando anche del referendum sulle trivelle in programma il 17 aprile e, soprattutto, dello scandalo – vero o presunto – che ha colpito l’ex ministro Guidi.

EMILIANO A BRIGLIA SCIOLTA

Negli ultimi giorni il suo è stato un crescendo continuo, fino all’intervista rilasciata stamattina al quotidiano Libero. Nella conversazione con il giornale diretto da Maurizio Belpietro, Emiliano è stato durissimo: “Il governo è servo delle lobby”.  Poi alla trasmissione televisiva Mattino Cinque ha aggiunto: “Matteo Renzi ha commesso un errore gravissimo. L’emendamento Tempa Rossa è un regalone ai petrolieri”. Qualche giorno fa – come emerge da questo articolo del Corriere del Mezzogiorno – Emiliano aveva, però, fatto chiaramente capire di che natura fosse il problema. “Siccome è stato costruito un impianto sulla terra ferma in un’altra Regione, ci hanno detto: non sappiamo da dove portar via il petrolio e quindi passiamo da casa vostra. Così non va. Queste cose si decidono insieme”. Soldi e potere, ecco i veri motivi.

Ecco i motivi (economici) della guerra di Emiliano a Tempa Rossa

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