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L’Europa ieri ha trovato un accordo di massima con il governo di Ankara su un piano comune per affrontare l’emergenza migranti. Il Consiglio dei 28 capi di Stato e di governo dell’Unione Europea, a Bruxelles, ha ottenuto dal premier turco Ahmet Davutoglu l’impegno a trattenere in Turchia il grosso dei profughi in fuga dalle guerre in Siria e in Iraq, che risultano diretti principalmente in Germania. Le autorità turche dovrebbero anche frenare gli immigrati alla ricerca di una vita migliore in Europa, rendendo meno facile superare illegalmente le frontiere dell’Ue anche ai terroristi. Bruxelles ha promesso in cambio tre miliardi «iniziali» da elargire progressivamente dopo verifiche sul posto.

COSA PENSA MERKEL

Ma la Kanzlerin Angela Merkel continua non voler sentir parlare di chiusura delle frontiere o di tetto massimo in tema di profughi. E nemmeno la gelida accoglienza riservatale dai cristianosociali al loro congresso, tenutosi la scorsa fine settimana, o lo sgarbo del leader della Csu nei suoi confronti, l’ha fatta retrocedere di un millimetro. Anzi il fatto che Horst Seehofer ha criticato Merkel davanti a tutti i delegati del partito, ripetendole di cambiare rotta, alla fine è costato a lui diversi voti alla rielezione. Se due anni fa il 95,3 per cento aveva votato la sua rielezione, questa volta ha dovuto accontentarsi dell’87,2%. Angela Merkel è pur sempre il cancelliere della Repubblica Federale Tedesca sembrano aver pensato i delegati, pur condividendo la posizione del loro capo. Come si leggeva poi nella Süddeutsche Zeitung, sfidare troppo duramente la Cdu, non conviene ai cristianosociali, pena il declassamento a partito regionale.

I SUBBUGLI GOVERNATIVI

Merkel, pur non celando la propria irritazione, tant’è che se ne è andata senza salutare nessuno, già due giorni dopo al convegno della confindustria tedesca ribadiva la sua linea. Ha ribadito che non era ammissibile sbattere la porta in faccia a chi, a rischio della propria vita, lascia il paese natale per cercare altrove una esistenza in pace e libertà. “A parte il fatto che rintanarsi dietro alle proprie frontiere non servirebbe a nulla”. Certo, ha precisato la Kanzlerin “ci attende un lavoro immane”. E non è pensabile che un paese da solo possa venirne a capo. E di nuovo faceva appello all’Unione Europea. “Abbiamo bisogno di una corretta distribuzione degli oneri e di una redistribuzione dei profughi”. Le frontiere esterne dell’Ue devono essere protette meglio e bisogna finalmente affrontare il problema alla radice, cioè adoperarsi per la cessazione dei conflitti e aiutare fattivamente e generosamente paesi come la Turchia, che di profughi nel frattempo ne hanno due milioni. Ciò nonostante anche Berlino pensa però a stringere un po’ le viti alla sua strategia di benvenuto. Lunedì al Bundestag si discuterà una nuova legge sul diritto d’asilo che prevede restringimenti alla politica di accoglienza. Chi otterrà una protezione sussidiaria, minori non accompagnati compresi, dovrebbe in futuro dover attendere due anni prima di poter chiedere il ricongiungimento familiare.

COSTI E BENEFICI

Le casse dello Stato, e dunque il contribuente tedesco, dovranno in futuro confrontarsi con costi di gran lunga superiori a quelli preventivati. E se una decina di giorni fa, il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble affermava che non era ancora possibile stimare quanto costerà l’integrazione sociale e lavorativa dei nuovi arrivati, martedì la Fondazione Stiftung Marktwirtschaft rendeva note le sue stime in proposito. “L’arrivo disordinato e in massa dei profughi costerà sul lungo periodo 17 miliardi di euro l’anno”, si legge nel rapporto. “E anche se si ipotizza un inserimento dei profughi nell’arco di sei anni, i costi aggiuntivi si attesteranno a lungo termine su 900 miliardi di euro”, cioè un terzo del PIL tedesco. “Ben inteso, i 17 miliardi di euro l’anno sono una stima ottimistica”, precisava l’economista Bernd Raffelshüschen. “Se l’apprendistato e l’inserimento nel mercato del lavoro dovessero richiedere più tempo, allora saliranno anche i costi”. Un’analisi che vede Raffelshüschen sulle stesse posizioni rese note recentemente da altri suoi illustri colleghi, tra cui Hans-Werner Sinn e Clemens Fuest. Solo per quest’anno si calcola poi un’aggiunta di costi pari a 21 miliardi di euro. È vero, concludeva Raffelshüschen la sua presentazione “la Germania ha necessità di forza lavoro, ma di una forza lavoro che risponde ai bisogni del mercato tedesco”. Bisogna dunque avere il coraggio di discriminare, cioè scegliere. Perché solo un’integrazione guidata potrà portare dividendi fiscali.

ANALISI E SCENARI

Più in linea con Merkel si è mostrato, invece, il presidente della Confindustria tedesca Ingo Kramer. “Gli imprenditori tedeschi sono disposti a fare tutto il possibile”, ha detto dal palco. “Siamo disposti a qualificare e integrare un grande numero di profughi”. Ma, metteva al tempo stesso in guardia, nel mostrarsi eccessivamente ottimisti riguardo al reale contributo che i nuovi arrivati possono dare alla crescita economica. Molti di loro sono privi di qualificazione professionale. Per cui, dando indirettamente ragione a Raffelshüschen, il problema della mancanza di forza lavoro qualificata, si risolve solo con ingressi ordinati e mirati. Il vero contributo dei profughi è quello di rappresentare grazie alla giovane età un prezioso potenziale per il futuro (non ultimo delle casse pensionistiche). Il 70% di loro ha meno di 30 anni, il 50% addirittura meno di 25 anni. Bisogna dunque avviarli al più presto alla formazione professionale. E, cosa non meno importante, sottolineava Kramer, alle stesse condizioni di istruzione e retribuzione di un tedesco. “La provenienza non deve essere in alcun modo una discriminante”. Per questo va applicato anche a loro il salario minimo. Kramer ammetteva di essere sempre stato contrario al salario minimo, ma farne ora uno strumento di discriminazione sarebbe un passo decisamente falso.

Germania, tutte le baruffe su migranti e profughi

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