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Gli attentati a Bruxelles richiedono all’Europa intera una riflessione più profonda di quanto non debba essere pronta ed efficace la reazione. Mai prima d’ora si è vista un’Europa così frastornata, incapace di comprendere il nesso epocale che lega gli eventi di questi ultimi anni, che delineano la terza fase della decolonizzazione dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente.

Assiste impotente, stretta in una morsa tra il crescendo di attentati, prima in Francia ed ora in Belgio, e le ondate di profughi che fuggono a centinaia di migliaia dalle zone colpite dalle guerre in Medio Oriente ed Africa. In questi anni di crisi economica e finanziaria, l’Unione europea si è persa in se stessa, involuta nei problemi della stabilità monetaria, fiscale e bancaria, senza comprendere che il mondo ai suoi confini stava cambiando profondamente. Alcuni Paesi, come Gran Bretagna, Francia e Germania, hanno cavalcato malamente le novità, ciascuna nel proprio interesse: c’è chi ha approfittato dei rivolgimenti per marginalizzare l’Italia in Libia ed in Egitto, e chi per raddoppiare le proprie relazioni petrolifere con la Russia. Altri Paesi sono rimasti soli, subendo gli eventi: Italia, Grecia e Spagna.

Siamo di fronte ad una deriva, colpevolmente imprevista ed al momento dappertutto incontrollata, della strategia del “nuovo inizio” con cui sin dal suo primo insediamento l’amministrazione Obama ha voluto creare, in Medio Oriente e nei Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo, le condizioni per la costruzione di assetti istituzionali democratici, rispettosi delle libertà civili, nel presupposto che il terrorismo nasca e trovi alimento nei regimi dittatoriali. Solo abbattendo le “democrature” che dominavano incontrastate da decenni questi Paesi, militari e non, si sarebbe potuta eliminare la minaccia mortale per l’Occidente rappresentata dal terrorismo islamico. Autocratici ed illiberali, alimentavano una ribellione politica e sociale che veniva repressa con pugno di ferro all’interno, ma soprattutto un odio inestinguibile contro l’Occidente da parte delle frange islamiche radicali, che li consideravano regimi-fantoccio degli interessi occidentali

Per questi motivi, i governi di Ben Alì, Mubarak, Gheddafi ed Assad dovevano essere abbattuti il più rapidamente possibile, con le buone o con le cattive: restituire la libertà ai loro popoli era un passaggio ineliminabile per sradicare il terrorismo. Questa strategia valeva comunque, anche se non erano più pericolosi per la pace mondiale, come lo era stato Saddam Hussein, che aveva invaso il Kuwait e minacciato la sicurezza di Israele.

L’Europa è ora vittima di un paradosso: rappresenta ad un tempo la meta agognata di chi, islamico e non, cerca pace e futuro per sé e per i propri figli, fuggendo dagli orrori del proprio Paese e sfidando qualsiasi pericolo pur di arrivarvi, ed incarna la figura del nemico assoluto per i tanti islamici radicalizzati che vivono qui da anni. Costoro partecipano a questa fase storica tifando con tutte le forze per un trionfo dell’Islam, inteso non solo come un sistema di valori alternativi a quelli occidentali, ma soprattutto come strumento di aggregazione che li riscatta come comunità marginalizzata: sono tentati dal partecipare alle guerre civili in corso in quelle aree, come foreign fighters, e comunque costruiscono un fronte di lotta interna.

Mentre si discute sulla accoglienza da riservare o meno ai profughi che arrivano, assai poco si riflette sulla mancata integrazione in Europa dei tanti emigrati o figli di emigrati che sono nati qui. Negli anni scorsi, i continui disordini nelle banlieue francesi, i roghi appiccati regolarmente alle auto, erano un segnale d’allarme rimasto senza risposta: alla rabbia sorda di allora, si aggiunge l’occasione di far deflagrare con questi attentati una serie di equilibri sociali resi precari per tutti dalla lunghissima crisi.

Quando cadde il Muro di Berlino, i regimi comunisti dei Paesi dell’Est caddero improvvisamente, uno dopo l’altro: l’Europa fu pronta a sostenere queste rivoluzioni, soprannominate di velluto per quanto silenziosamente avvenne il cambio di regime, come se tutto fosse stato accuratamente predisposto. E lo era stato, già da anni. Nei confronti dei Paesi del nord Africa e del Medio Oriente non è accaduto nulla di ciò: anzi, la unica struttura che era stata realizzata nel 2008 per sostenere lo sviluppo sociale, economico e politico di quei Paesi, l’Unione Euromediterranea, inaugurata con la presidenza congiunta franco-egiziana, fu considerata un esercizio inutile e presuntuoso. Né la Germania, né l’Inghilterra vedevano di buon grado quella iniziativa, che godeva dell’appoggio dell’amministrazione Bush: sia il premier Nicolas Sarkozy sia il presidente Silvio Berlusconi effettuarono il loro primo viaggio ufficiale all’estero in Algeria ed in Libia per chiudere definitivamente i conti di Francia ed Italia con il passato coloniale. Tutto si perse di questa iniziativa, in pochi mesi: la strategia dell’Amministrazione Obama, fondata sul “nuovo inizio”, pretendeva tutt’altri interlocutori.

La Francia è stata la prima a trovarsi con un fronte interno aperto, vulnerabilissima, mentre pensava di essere ancora protagonista della nuova stagione mediterranea, sia prendendo l’iniziativa per mettere fine al regime del colonnello Gheddafi, sia muovendo risolutamente la flotta alle volte della Siria quando Obama dichiarò fuori legge il regime di Assad per aver usato armi chimiche contro la popolazione in rivolta.

Se c’è una emergenza per il terrorismo islamico da contrastare risolutamente, è ancor più necessario far cessare la guerra civile in Siria: questo è il nodo su cui tutto si gioca, il conflitto che vede Usa e Russia impegnate in un nuovo confronto. Si sta ripetendo, in Europa, ciò che accadde negli anni Settanta, quando si saldava il terrorismo rosso all’interno con una fase estremamente difficile del confronto con l’URSS che schierava gli SS20: una guerra, o un conflitto interno senza quartiere, avrebbe creato comunque milioni di profughi. Allora fu evitata, ad ogni costo, anche per merito di Giovanni Paolo II. Si deve costruire, prima di distruggere: per questo, anche a Bruxelles, ora siamo alle prese solo con morti e macerie.

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