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La chiamano opposizione, dalle parti di Silvio Berlusconi, l’accusa a Matteo Renzi di avere falsificato i conti, come dice il capogruppo forzista alla Camera Renato Brunetta, e di avere perciò torto nello scontro con Jean Claude Juncker, e i suoi referenti tedeschi, per un’applicazione dei cosiddetti parametri europei più flessibile di quanto a Bruxelles siano orientati a concedere al governo italiano.

Ma più di un’opposizione, sul piano parlamentare e mediatico, sembra tigna quella di ciò che rimane del centrodestra. Tigna intesa, in romanesco, come caparbietà, puntiglio, ripicca, partito preso, pregiudizio.

Il presidente del Consiglio, col supporto del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, reclama in Europa ciò che Silvio Berlusconi chiedeva quando era a Palazzo Chigi, col supporto di Giulio Tremonti. E gli fu negato persino con smorfie sarcastiche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dall’allora presidente francese Nicolas Sarkozy. Che profittarono, diciamo la verità, anche della debolezza procurata a Berlusconi dalle sue vicende giudiziarie.

L’allora opposizione di sinistra cavalcò nel 2011 sia quelle vicende giudiziarie sia il sarcasmo di Berlino e di Parigi per dare a Berlusconi la spallata fallita l’anno prima all’allora presidente della Camera Gianfranco Fini, uscito a dir poco bruscamente dalla maggioranza con i suoi amici.

Gli argini alla crisi lungamente frapposti dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per quanto non avvertiti da Berlusconi, furono travolti da una gigantesca speculazione finanziaria contro i titoli del debito pubblico italiano. Cui la Banca centrale della Germania diede non dico l’impulso, denunciato poi dall’ormai ex presidente del Consiglio, ma di certo un grosso contributo.

 

Ora che è Renzi ad avere problemi con Bruxelles e Berlino, per adesso senza la complicazione dell’assalto speculativo ai titoli italiani di Stato, a meno che non ne siano il preludio i fari comunitari accesi sule banche italiane,  Berlusconi – diciamo la verità – ripaga la sinistra al governo della stessa moneta usata contro di lui, anche se buona parte della vecchia sinistra considera Renzi un intruso. Come fu considerato il leader del centrodestra da post-comunisti, post-democristiani e quant’altri quando irruppe sulla scena politica. E continua tuttora ad essere considerato, per quanto abbia perso per strada tanta parte di quei voti che avevano sorpreso e impaurito gli avversari.

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La reazione di Berlusconi e dei suoi amici e alleati, effettivi o potenziali che siano, è tanto comprensibile sul piano personale e umano quanto non condivisibile, francamente, sul piano politico. Quella che Renzi sta giocando in Europa, anche a costo di mettere in difficoltà Mario Draghi a Francoforte, è ormai la partita dell’Italia, a prescindere dai vantaggi o dai danni politici che potranno derivargli come presidente del Consiglio.

 

Anche a costo di essere scambiato per “nazionalista”, come Eugenio Scalfari ha appena dato a Renzi per i suoi rapporti con Bruxelles e Berlino, credo che un po’ di patriottismo non guasterebbe, specie sul versante politico dove opera ancora Berlusconi. Le ritorsioni, d’altronde, producono spesso più problemi di quanti vorrebbero risolvere.

Meritata o immeritata che sia, sul piano personale e/o politico, un presidente del Consiglio ha il diritto di attendersi in certi passaggi una sponda dall’opposizione. Una sponda, ripeto, certamente mancata a Berlusconi nel 2011, in circostanze anche più difficili di oggi, ma non per questo diventata meno opportuna o doverosa.

 

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Ho trovato tracce di tigna, cambiando argomento, pure nella reazione di Vittorio Feltri al figlio Mattia, che ha colto in fallo anche il padre nel libro fresco di stampa sul “Novantatré”, l’anno ancora più terribile del ’92 per gli eccessi delle indagini giudiziarie note come “Mani pulite”, e per l’uso troppo spesso strumentale fattone dall’ex Pci. Che, pur avendo partecipato al finanziamento illegale della politica, non solo fu marginalmente coinvolto dagli inquirenti ma si propose di aggiudicarsi il governo cavalcando i processi agli avversari. E finendo tuttavia per essere fortunatamente sconfitto nel 1994 – si è compiaciuto lo stesso Vittorio Feltri – dall’imprevisto Berlusconi.

 

Come fra moglie e marito, non si dovrebbe mettere il dito tra padre e figlio. Ma non riesco a resistere alla tentazione di parteggiare per il figlio, accusato addirittura dal padre di essersi occupato del lavoro “di giorno” dei magistrati, e dei giornalisti che ne “enfatizzavano” arresti, avvisi di garanzia e processi, ma non delle “notti” in cui per anni troppi politici avevano rubato.

In realtà, fu una gara ben poco gratificante, nella stagione di “Mani pulite”, quella fra i politici che di notte, come dice Vittorio Feltri, avevano violato la legge, abusando anche della fiducia degli elettori, e i magistrati che di giorno, ma anche di notte, abusavano delle loro funzioni con “eccessi”‘ un po’ troppo ottimisticamente o sbrigativamente valutati dallo stesso Vittorio attorno al 30 per cento dei casi, contro il 70 per cento delle malversazioni dei politici. Una giustizia a peso approssimativo, o percepito, non mi convince.

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