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Il governo degli Stati Uniti ha assicurato $2 miliardi a GlobalFoundries per sussidiare la sua produzione di semiconduttori, il primo grande incentivo nel contesto dello US Chips and Science Act approvato ad agosto del 2022 dal Congresso. Il primo pilastro del piano, infatti, prevedeva $39 miliardi da destinare in sussidi per la manifattura di chip sul suolo nazionale, insieme al 25% di crediti d’imposta sugli investimenti per il costo dell’equipaggiamento per la produzione (una voce tanto più esosa quanto la scala nanometrica coinvolta nelle fonderie). Di recente, il governo ha anche annunciato un nuovo round di finanziamenti per supportare la R&D nel settore.

GlobalFoundries, terzo chipmaker per share di mercato a livello globale nel segmento foundry (ovvero di quelle, poche, aziende che producono semiconduttori per conto terzi e su commissione dalle principali aziende di design al mondo) e l’unico attivo sul suolo americano costruirà un nuovo impianto da 300 mm a Malta, nello Stato di New York (oltre ad ampliare quello esistente per servire l’industria automotive), ed espanderà le sue operazioni a Burlington, nel Vermont, secondo quanto concordato in via preliminare con il Dipartimento del Commercio statunitense. In quest’ultimo sito l’azienda porterà avanti anche il suo programma di R&D per la produzione di chip al nitruro di gallio (GaN), utilizzati in sistemi che richiedono un power management avanzato ad alte temperature oltre all’impiego nei sistemi di comunicazione 5G/6G e nelle tecnologie rinnovabili. Nel complesso, una volta concluse le fasi di costruzione i due impianti maltesi potranno produrre circa 1 milione di wafer all’anno, triplicando così la capacità attuale.

Il dipartimento, lo scorso mese, aveva annunciato $162 milioni destinati a Microchip Technology e $35 milioni per un sito in New Hampshire in fase di costruzione e posseduto da BAE Systems. Si tratta di aziende che producono chip necessari a diversi settori industriali, quali automotive, ICT e anche sistemi avanzati per la difesa.

La sovvenzione accordata a GlobalFoundries verrà accompagnata da ulteriori $1.6 miliardi di dollari sottoforma di prestiti, con il finanziamento che potrà generare oltre $12.5 miliardi di investimento complessivo e potenziale tra i due Stati, secondo quanto riferito dal dipartimento. “I chip che GlobalFoundries realizzerà in questi impianti sono essenziali per la nostra sicurezza nazionale”, ha commentato Gina Raimondo durante una breve conferenza stampa tenutasi ieri. La Segretaria al Commercio ha inoltre confermato che nei prossimi mesi seguiranno ulteriori annunci, a conclusione di trattative in corso tra il governo e i principali produttori di chip americani e non solo.

Nel corso del 2023, hanno annunciato investimenti negli Stati Uniti anche TSMC e Samsung Electronics (oltre ad Intel) rispettivamente in Arizona (con una fonderia per la produzione di chip da 5 nanometri e $40 miliardi di investimento complessivo) e la realizzazione di un sito da $17 miliardi in Texas, con l’impiego di una tecnologia di produzione simile ed entrambe rivolte specialmente al mercato dell’high performance computing (HPC). Si tratta di negoziazioni molto complesse, per via della natura unica di queste nuove fonderie alla frontiera tecnologica (con l’eccezione di TSMC che manterrà comunque i nodi avanzati a Taiwan) che “non si sono mai viste in questo Paese per scala e complessità”, ha aggiunto Raimondo. Le due aziende, tuttavia, hanno lamentato alti costi per la creazione di nuovi impianti rispetto all’Asia (oltre alla difficoltà di reperire personale qualificato), spingendo quindi per l’erogazione dei sussidi federali.

Il reshoring delle attività produttive è cruciale per l’amministrazione Biden, nel tentativo di porre fine all’emorragia che ha portato gli Stati Uniti dal 37% dello share nel 1990 al 12% del 2020 e che avrebbe potuto proseguire indisturbato con il mercato foundry che si stava lentamente consolidando e concentrato nell’Asia-Pacifico tra Taiwan, Cina e Corea del Sud. La pandemia e le tensioni geopolitiche crescenti con la Cina – in particolare su Taiwan e sui semiconduttori avanzati – ha portato gli Usa ad intervenire per provare ad invertire la rotta.

“Gli importanti incentivi alla produzione di semiconduttori annunciati oggi contribuiranno a far progredire la produzione di chip negli Stati Uniti e a rafforzare la sicurezza economica e nazionale dell’America”, ha commentato John Neuffer, ceo della Semiconductor Industry Association (SIA). “Ci congratuliamo con GlobalFoundries per aver investito in modo ambizioso in questi progetti e salutiamo il lavoro in corso del Dipartimento del Commercio per implementare gli incentivi critici del Chips Act”. Dall’introduzione della legge Chips, infatti, le aziende dell’ecosistema dei semiconduttori hanno annunciato decine di nuovi progetti in tutta l’America, per un totale di oltre 220 miliardi di dollari di investimenti privati. I progetti annunciati creeranno più di 40.000 posti di lavoro.

Grazie alla presenza di leader globali come TSMC e Samsung (che detengono rispettivamente il 10 e 3% della capacità front-end a livello globale di produzione di wafer di silicio, con il 92 e l’8% del mercato per la produzione di chip avanzati, sotto i 7 nanometri secondo i dati del Bureau of Industry and Security) hanno progressivamente investito negli Usa, per beneficiare del Chips Act, anche una serie di importanti fornitori come GlobalWafers (produttore di wafer di silicio), Solvay (fornitore di gas per la manifattura di chip) e annunciato l’espansione di siti già operativi società come Applied Materials, Kla Corporation attive nella fornitura di equipaggiamento per la produzione a front-end, come dispositivi DUV e litografici.

I chip più sofisticati, come quelli realizzati nelle cleanroom di TSMC, richiedono processi industriali e macchinari, a seconda del nodo (nanometri) richiesto, complessi oltre che costosissimi. Il produttore taiwanese ha dichiarato di aver speso oltre $30 miliardi di dollari solo per sostenere i costi per conto di capitale (capex) nel 2023. Un aspetto che evidenza la necessità di sostenere questa produzione strategica anche con fondi pubblici qualora non siano presenti fonderie di questa tipologia.

I chip di GlobalFoundries verranno impiegati nei satelliti e per le comunicazioni nello spazio, oltre all’industria della difesa, ai dispositivi Wi-Fi e ad altri semiconduttori analogici utilizzati nei veicoli. Tra i suoi clienti di punta, General Motors, Lockheed Martin e la società fabless americana Qualcomm. L’azienda, fondata nel 2009 con sede a Malta (NY) e vicina ai $30 miliardi di capitalizzazione borsistica, nel 2022 ha registrato un fatturato di quasi $7.4 miliardi per le sue operazioni foundry (il 6% del totale globale del mercato foundry, dietro soltanto ai giganti taiwanesi TSMC e UMC) di cui il 65% dagli Stati Uniti seguiti dall’Europa. Nell’ultimo trimestre del 2023, l’azienda ha generato complessivamente il 16% del fatturato dal settore automotive, il 42% dal segmento dei dispositivi telefonici (principalmente smartphone) e il 20% dall’industria IoT. GlobalFoundries gode, inoltre, della designazione di “trusted foundry” da parte del Pentagono, che consente all’azienda di poter entrare nella strettissima cerchia di fornitori per l’hardware militare.

Tra gli azionisti maggioritari dell’azienda, si annovera un fondo d’investimento interamente controllato dal governo di Abu Dhabi (EAU), il che conferma il crescente interesse dei fondi arabi per il settore dei chip. Di recente, il ceo di OpenAI, Sam Altman, avrebbe lanciato l’idea di raccogliere oltre $2 trilioni di investimenti per rafforzare le capacità produttive a livello globale di chip avanzati per l’intelligenza artificiale.

GlobalFoundries sta, inoltre, diversificando massicciamente il suo portfolio di investimenti anche al di fuori del suolo nazionale (con sedi già operative a Singapore e in Germania). Attirato anche dagli incentivi dell’European Chips Act varato a fine marzo del 2023, l’azienda in partnership con l’italo-francese STMicroelectronics ha annunciato un investimento da 5.7 miliardi di euro per la costruzione di una fonderia a Crolles, in Francia, con l’impiego di tecnologia a 18 nanometri per servire principalmente il mercato automotive europeo, a supporto dei piani di elettrificazione della flotta automotive. La fab, gestita in joint venture con STM (42% delle quote), avrà una capacità prevista di 620.000 wafer annuali una volta entrata in piena operatività nel 2026. L’azienda americana ha inoltre concluso un accordo di fornitura per i microcontrollori di Infineon, altra azienda di chip europea attiva principalmente sul mercato automotive, con un contratto che durerà fino al 2030.

In generale, l’annuncio rappresenta un ulteriore passo verso una maggior diversificazione delle forniture di semiconduttori rispetto alla concentrazione di mercato del segmento foundry, in un quadrante regionale che rischia di diventare un hotspot delle relazioni tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese nei prossimi anni, e verso il rafforzamento della base industriale americana in più settori critici per l’economia e la sicurezza nazionale.

GlobalFoundries, così gli Usa finanziano il terzo produttore di chip al mondo

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