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Il dibattito aperto dal doppio intervento, su Formiche.net, di Riccardo Cristiano e Rocco D’Ambrosio non può essere fatto cadere e considerato chiuso per la rilevanza del tema trattato, ovvero il protagonismo dei cattolici in politica.

Partendo dalla possibile conclusione, sta diventando sempre più evidente che serve tirare una riga a questi trent’anni di storia e fare una sana revisione, anche individuando errori e rispettivi autori, non solo laici naturalmente. Per i cattolici in politica, in particolare in Italia, emerge un totale fallimento con l’autoconsegna in funzione servile alla divisione ideologica, lo smantellamento organizzativo, un’idea di formazione generica senza destinazione e così collegata all’abbandono a destra e a manca, la liquefazione del miglior pensiero politico, il popolarismo radicato nell’idea democratico-cristiana, col tentantivo di adattarlo al campo di convenienza, ora assimilandolo riformisticamente al progressismo o moderatamente al conservatorismo, ora contrapponendolo per assonanza al populismo ma svuotandolo di identità per farne un generico rifugio per la qualunque, pena la perdita completa della sua originalità con concetti astrusi e negativi “sotto la politica”.

Sono rimaste le formule pittoresche via via confezionate per giustificare e/o nascondere ciò che alla fine è diventata afonia. C’è stata, insomma, una frattura che fa emergere con chiarezza che ci si trova di fronte al fallimento di una trasformazione di entrambe le parti in colonizzati ideologicamente, che arrivano anche a perdersi o a disconoscere le stesse radici cristiane della democrazia, quando la presenza popolare e democratico-cristiana ne è stata sempre una grande difenditrice contro le derive di matrice nera e rossa, demagogiche e populiste (che poi si sovrappongono, si pensi ai colpi inferti alla centralità del Parlamento, delle assemblee elettive, delle autonomie locali e dei corpi intermedi, insomma alla rappresentanza e anche alla sussidiarietà che non possono essere disgiunte dalla mera partecipazione) e anche nazionaliste, grazie al sogno europeo dei padri fondatori democristiani, che cementificano in Europa uno sguardo comune nella famiglia del Ppe rispetto alla visione ideologica e tecnocratica, intrisa di sfiducia per i popoli, del modello Ventotene. Le ideologie, come ricorda spesso Papa Francesco, sono purtroppo infide seduttrici!

Gli articoli citati sono importanti perché fotografano lo status quo da superare e le definizioni da evitare come cattolicesimo conciliare contrapposto a quello reazionario, partendo da una situazione sui generis come quella statunitense, incasellata secondo lo schema fallito e provinciale ma ancora assai influente della nostra sedicente “seconda repubblica”. Sulla base di tale contrapposizione, ad esempio, non viene da pensare che oggi il giovane seguace di don Sturzo, il popolare torinese Pier Giorgio Frassati – per cui si sono aperti l’anno centenario dalla morte e la via della canonizzazione, che non nascondeva il s. rosario e che alla domanda se fosse bigotto rispondeva “no, sono rimasto cristiano” –, rischierebbe di essere ostracizzato? Eppure sarebbe un bell’esempio: lui, il ragazzo che pregava intensamente ma andava nelle soffitte a soccorrere i poveri e non si asteneva dal fare politica in ragione della sua fede, per andare oltre e fare tesoro del disastro lasciandolo alle spalle. Inoltre, questa contrapposizione non impedisce di cogliere pienamente lo stesso magistero complessivo di Papa Francesco, in continuità con i suoi predecessori – penso a San Paolo VI, ad esempio, definito da Emile Poulat “Papa democristiano” –, allorché richiama i Popolari europei all’unità su “alcune questioni in cui sono in gioco valori primari e punti importanti della dottrina sociale cristiana”?

Certamente la questione delle definizioni dei cattolici in politica non è irrilevante se l’ha ben trattata un politico e intellettuale –  la compresenza delle due cose sarebbe sempre significativa perchè per fare politica occorre il duplice allenamento di pensiero e azione, non solo individuale – della levatura di Mino Martinazzoli che, per quel che riguarda l’unità politica dei cattolici, non un dogma ma neppure un peccato, affermava che ciò che si agita è un’ombra se non rappresenta una verità che precede quella della dimensione politica. Egli ebbe a sostenere, a proposito della negatività che affibbiava alla definizione di “cattolico democratico”, che “le democrazie moderne così come le abbiamo conosciute siano ad un varco estremamente problematico, la convenzione democratica così com’è non mi convince, oggi non mi piacerebbe chiamarmi cattolico democratico. La convenzione democratica è una buona condizione ma non è, di per sé, un valore assoluto, noi rischiamo di vivere sempre più nelle democrazie dell’indifferenza e del cinismo, o di vedere avverarsi la profezia toquevilliana della dittatura delle maggioranze”.

Questa riflessione, riconoscendo il merito e il valore degli autori che l’hanno innescata, penso possa tornare utile per comprendere il rischio che le seconde parti delle definizioni alla fine travolgono la prima, assolutizzandole e diventando tanti vitelli d’oro in accampamenti di esuli, in questi casi senza guida e senza meta.

Cattolici in politica, rottamando definizioni e fratture. Scrive Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Serve tirare una riga agli ultimi trent’anni di storia dei cattolici in politica e fare una sana revisione, individuando lo status quo da superare e le definizioni da evitare. L’intervento di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare

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