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Le avvisaglie, ad essere sinceri, c’erano già state la scorsa estate. Quando la crisi del mattone in Cina, giunta all’ennesima potenza, cominciava a contagiare l’intera economia del Dragone, un pezzo alla volta. La spia di allarme si era accesa con la società di servizi finanziari legata a doppio filo al mercato immobiliare Zhongrong International Trust che, risentendo del mancato pagamento degli interessi da parte di uno dei suoi maggiori azionisti, si era detta pronta a lasciare laborsa di Shenzhen.

“A causa dei cambiamenti nelle condizioni del mercato (immobiliare, ndr), le operazioni della società si trovano ad affrontare un’enorme incertezza che potrebbe avere un impatto notevole”, avevano spiegato dalla società. Ancora un trust, Zhongzhi, che aveva in pancia 1000miliardi di yuan e con una una notevole esposizione al settore immobiliare. I problemi finanziari non hanno tardato ad arrivare, con l’ennesima sfida per le autorità cinesi che si battono per contenere l’aggravarsi della crisi del settore immobiliare e per rilanciare una ripresa vacillante nella seconda economia mondiale.

I trust non sono un fenomeno unicamente cinese, ma di sicuro nel Dragone c’è un discreto affollamento. Sono istituzioni finanziarie che fondono attività bancarie, di gestione patrimoniale e di hedge fund, offrendo prodotti di investimento a istituzioni e individui facoltosi. Esistono per fornire credito a settori dell’economia che tradizionalmente hanno avuto difficoltà ad accedere ai finanziamenti delle banche tradizionali, come il settore immobiliare e quello minerario.

E adesso? La musica, pochi mesi dopo, non è cambiata. Anzi. Sichuan Trust, un’istituzione che faceva parte di uno dei pilastri del sistema finanziario cinese, ovvero banche, titoli, assicurazioni e trust, ha dichiarato di non essere in grado di ripagare 20 miliardi di yuan di investimenti. Inevitabili le proteste, con centinaia di investitori che si sono radunati fuori dalla sede di Chengdu per chiedere indietro i loro soldi. Tutta colpa di un deficit di oltre 30 miliardi di yuan messo nero su bianco sui libri contabili, anche se la società ha affermato che la somma era più vicina ai 25 miliardi.

I problemi del Sichuan Trust sono solo una minuscola parte della tensione che si sta diffondendo nel settore fiduciario cinese, che vale 2,3 trilioni. “Il Sichuan Trust è stato uno dei primi a fallire”, ha affermato Diana Choyleva, capo economista della società di consulenza Enodo Economics. “Ma i suoi problemi sono ampiamente rappresentativi dei guai che l’intero settore deve affrontare a causa della continua crisi del settore immobiliare”. Anche per questo la Cina non riesce più a dare un buon motivo agli investitori per scommettere sul proprio futuro. La prova sono le varie fughe di capitali viste in questi ultimi mesi, veri e propri disimpegni in massa che hanno depotenziato le piazze finanziarie del Dragone, a cominciare da Shanghai e Schenzen. Ora però se possibile va anche peggio.

 

Il nuovo fronte cinese. Ora la crisi del mattone contagia i trust

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