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L’ultima sera dell’anno, in molte città di Europa, soprattutto in Germania, l’islam ci ha dato una utile lezione. I luoghi comuni, sui quali si regge una industria culturale vacua e roboante, sono stati mostrati in tutta la loro inconsistenza: civiltà multietnica, integrazione, dialogo fra le culture, ecumenismo religioso, rispetto e confronto tra i diversi, parole bellissime, che sinora ci hanno dato tutto il contrario di quanto ci attendevamo. Un sfilza di sofismi su cui si basa una fallimentare e nociva politica sulla immigrazione: cittadinanza facile, diritti civili a tutti, accoglienza indiscriminata e ora la proposta cancellazione del reato di immigrazione clandestina (una legge scritta ma raramente applicata). Tutto quell’insieme di utopie e favole in cui convergono una sinistra sconfitta dalla storia e una religione che per sopravvivere talvolta si degrada a progetto sociale collettivista. Non di rado vergognandosi delle proprie tradizioni, a partire da quelle più popolari come il presepio.

Gli atti criminosi di gruppi numerosi di islamici, come molestie, offese, violenze, furti e stupri, nei confronti di centinaia di donne scese in piazza per festeggiare l’anno nuovo, forse possono essere definite azioni di pochi, che la stragrande maggioranza dei migranti non accetta. Magari rispolverando il vecchio slogan degli anni Settanta: “sono islamici che sbagliano” (allora erano “compagni”). Ma testimoniano anche la difficoltà, che quasi sempre è impossibilità della integrazione fra civiltà diverse. Avevano queste violenze una regia unica? Molti ne sono convinti, ma non c’è bisogno di pensare a persone, basta il costume delle società da cui provenivano gli aggressori. Cioè il ruolo vi si assegna alla donna, del tutto diverso da quello per loro “scandaloso” dei Paesi occidentali. Sono stati, questi episodi, una ulteriore prova che non basta concedere diritti e cittadinanza, per avere l’integrazione, tanto è vero che l’adesione e ancor più il sostegno all’Isis vengono per lo più da persone che sono già da decenni inserite ma non integrate nelle comunità occidentali. Quegli atti di criminalità avevano anche motivazioni culturali.

Alcune popolazioni (come la cinese o l’indiana) riescono più facilmente a integrarsi e ad accettare, almeno in parte, i valori occidentali. Per gli islamici è molto più difficile, dato il loro integralismo teocratico, che identifica religione e politica. Quando invece la novità del cristianesimo prima e della liberaldemocrazia poi è proprio la distinzione tra cittadino e credente. Non così in islam, dove l’identità delle persone non è data dalla nazione, ma dalla religione. Una nuova lingua si impara facilmente. Ma non altrettanto la civiltà e la religione, fondamenti primari della personalità. Accettare l’emancipazione femminile, la libertà nei costumi sessuali, la democrazia e il concordismo religioso per un islamico non è facile. Essi sanno che integrandosi ai valori occidentali perdono la loro identità, tanto è vero che spesso conservano i propri riti e costumi anche nei paesi degli “infedeli” (prescrizioni alimentari, maschilismo, obbligo del velo, clitoridectomia, uccisione degli adùlteri).

L’integrazione dunque, se non proprio impossibile, è assai difficile. I governi europei dovrebbero (e non pochi di essi stanno dando segni di ravvedimento in tal senso) assumere nuove strategie: accogliere solo il numero di migranti sostenibile. La disoccupazione in Europa e ancor più in Italia è dovuta anche al fatto che essi accettano, per ora, quei lavori pesanti che i nostri rifiutano. E una presenza massiccia di civiltà diverse non può che indebolire la nostra tradizione nazionale.

Invece l’invasione, purtroppo dovuta a terribili necessità di sopravvivenza, alla sfida della esplosione demografica e al desiderio di trovare una vita più agevole, sta divenendo massiccia e irrefrenabile. Anche perché l’accoglienza dei migranti produce un meccanismo di crescita negli arrivi di parenti e connazionali degli accolti. E ciò pesa sui cittadini italiani, soprattutto se poveri, che qualche volta sono tentati da quel razzismo, che l’Italia (tolti i pochi anni conclusivi del fascismo) non ha mai avuto. Mentre le donne tedesche attendevano, nella piazza della più famosa cattedrale di Germania, di salutare l’anno nuovo, i migranti hanno intonato il requiem al principio di integrazione. Anzi, in un certo senso hanno mostrato come intendano l’integrazione: applicare agli occidentali i loro “sacri” costumi.

(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)

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