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La ditta cesenate Trevi inizierà i lavori di sistemazione della diga di Mosul, in Irak “entro fine settimana”. Lo hanno comunicato i vertici dell’impresa all’AGI lunedì. L’annuncio arriva dopo la firma del contratto che è stata annunciata dalla Farnesina e mentre un reportage di Al Monitor dà un quadro preciso di quello che sta avvenendo.

LA FIRMA

La Farnesina ha informato il 2 marzo che è stato firmato il contratto tra la società Trevi con le autorità irachene per i lavori di consolidamento della diga di Mosul. La firma, si legge in una nota del ministero degli Esteri, fa seguito all’intenso negoziato svolto tra l’azienda e le autorità irachene a Baghdad. Sulla base della decisione delle autorità irachene, potrà svilupparsi l’operazione di consolidamento della diga concordata nella recente visita del premier iracheno Haidar Al Abadi a Roma, e oggetto anche dei contatti avuti in questi giorni a New York dal ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale Paolo Gentiloni con i rappresentanti degli Stati Uniti e dell’Iraq per accelerare i termini del contratto.

L’APPALTO

Una decina di giorni fa sono stati definiti gli ultimi dettagli del contratto con cui la ditta italiana si è aggiudicata l’appalto conferito dal governo iracheno. L’importo dei lavori sarà di 273 milioni di euro: il valore della commessa è molto diverso dai due miliardi di cui parlavano le prime informazioni del dicembre 2015, e che avevano accompagnato l’annuncio dato dal premier italiano Matteo Renzi riguardo all’invio di un contingente meccanizzato composto da circa 450 soldati italiani.

LA SITUAZIONE DELL’INFRASTRUTTURA

Negli ultimi mesi si sono succeduti report e allarmi sull’instabilità basale dello sbarramento sul Tigri che crea l’invaso. L’ambasciatore Usa all’Onu Samantha Power, dopo un vertice con l’omologo iracheno, ha detto: “È fondamentale che tutti i membri dell’Onu abbiano subito informazioni sulla rilevanza eccezionale del problema in modo da prepararsi per prevenire una catastrofe umanitaria di proporzioni epiche”. In precedenza era toccato ai vertici dell’esercito americano fare dichiarazioni simili. Il genio militare statunitense studia la diga dal 2006, e in un report sulle indagini geognostiche di quei tempi la defenì “una delle più pericolose del mondo”.

I PROBLEMI FONDALI

Gli ingegneri ritengono che il muro in terra che forma l’enorme invaso della diga, lungo 3,2 chilometri e alto 131 metri, non abbia importanti problemi geotecnici, che invece sarebbero legati al basamento fondale. Le fondazioni della struttura poggiano infatti su livelli gessosi in cui l’erosione dell’acqua ha prodotto una serie di cavità che compromettono la stabilità generale dell’infrastruttura. Finora si è provveduto a riempire questi fori erosivi con iniezioni profonde di resine e malte cementizie (tecniche della deep iniection e del jet grounthing), ma la pratica non è definitiva e ormai non più sostenibile.

UNA ROTTURA DISASTROSA

In base a modelli realizzati da alcuni studi se la diga si rompesse potrebbero finite sott’acqua dalle 500 mila al milione e mezzo di persone. Le aree più prossime, come Mosul che si trova a soli quaranta chilometri (città da quasi 2 milioni di abitanti), finirebbero allagate da onde d’acqua superiori ai dieci metti. L’infrastruttura ha inoltre un valore strategico, perché permette l’approvvigionamento idrico di una delle regioni più fertili dell’Iraq e perché con la produzione idroelettrica garantisce corrente all’area. Oltre alle conseguenza catastrofiche della rottura, va dunque aggiunto il danno all’indotto economico collegato alla diga. Per questo è stato affidato l’incarico alla Trevi, che nel settore dei consolidamenti fondali di dighe e invasi è all’avanguardia.

L’AREA

La diga è situata nell’area più sensibile dell’Iraq per la presenza ad appena dieci chilometri dello Stato islamico, che ha installato a Mosul la propria roccaforte irachena. Riprendere il controllo della città è stato fissato dalla Coalizione americana come uno degli obiettivi della lotta al Califfato per il 2016. Anche per questo Roma invierà il contingente a garantire la sicurezza dei lavoratori italiani.

NEMICI DAVANTI E MARE DIETRO

Intervistato dal giornalista di Al Monitor Wilson Fache, che si è recato nell’area della diga per un reportage, un abitante della parte di hinterland di Mosul sotto il controllo dei peshmerga curdi (come la diga), ha usato le parole del condottiero berbero Tariq Ibn Ziyad per descrive la situazione degli abitanti dell’area: “Ora ci troviamo con il nemico davanti a noi e il mare profondo dietro di noi”.

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