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L’Egitto è tornato nel mirino dell’Isis? Gli 007 hanno pochi dubbi e anche Il Cairo, il più riluttante ad ammetterlo, ora apre all’ipotesi peggiore: dall’esame di una delle scatole nere dell’Airbus A321 russo della Metrojet precipitato nel Sinai emerge un improvviso e forte “rumore anomalo”.

I DUBBI (E LE CERTEZZE)

Pur senza mai far riferimento a “uno scoppio” o a “un’esplosione”, il presidente della commissione d’inchiesta, l’egiziano Ayman al-Muqaddam, ha spiegato che “l’enorme disposizione dei detriti al suolo dell’aereo russo, su una superficie di 13 chilometri, dimostra che il velivolo si è distrutto quando era ancora in volo”, anche se “le osservazioni iniziali non fanno luce su ciò che lo ha causato”. Parole che, a molti osservatori, sono suonate come una tacita ammissione. A fianco delle dichiarazioni ufficiali, infatti, l’agenzia Reuters ha raccolto le confidenze di un membro del team di investigazione che, conservando l’anonimato, ha detto che “le indicazioni e le analisi fino ad ora sulla scatola nera indicano che è stata una bomba” e che ciò è certo “al 90%”. A rivendicare l’attacco, come noto, è stato Abu Osama al-Masri, leader del gruppo fondamentalista Wilayat al-Sinai, affiliato allo Stato Islamico. Ma cosa significa questo per Il Cairo?

COSA PREOCCUPA

Per Azzurra Meringolo, ricercatrice, caporedattore di AffarInternazionali (la rivista dell’Istituto Affari Internazionali) e autrice del libro “I ragazzi di piazza Tahrir” (Clueb) “bisogna trattare queste rivendicazioni successive agli eventi con molta cautela. L’obiettivo dei gruppi terroristici, spesso in competizione tra loro, è quello di cercare di accrescere il proprio status appropriandosi di stragi, come in questo caso”. Tuttavia, se la mano jihadista dietro l’evento dovesse essere confermata, “sarebbe molto preoccupante, perché la cellula che si dichiara coinvolta, Wilayat al-Sinai, è stata una delle poche che dopo aver giurato fedeltà al Califfo, ha ottenuto conferma dell’affiliazione da parte di Abu Bakr al-Baghdadi. Un onore, se così vogliamo chiamarlo, concesso a pochi. In questo caso in virtù della rilevanza strategica del Sinai, che costituisce una via d’accesso anche alla Libia”.

LE IPOTESI

Ma perché l’Isis avrebbe preso di mira l’Egitto? “Ci sono due spiegazioni che vanno per la maggiore al momento”, prosegue la Meringolo. “La prima è che l’aereo sia stato preso di mira perché russo, a causa del per ruolo di Mosca in Siria, ma anche per gli intensi rapporti tra Vladimir Putin e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. La seconda è che negli ultimi due anni abbiamo avuto un aumento della violenza nel Paese. Nei primi sei mesi del 2015, in Egitto, si sono registrati oltre 700 attacchi terroristici, numeri altissimi anche se paragonati rispetto a quello degli scorsi due anni. Chi non si rivede in questo nuovo regime, è pronto a far sentire la sua voce”.

UNA POLITICA REPRESSIVA

Alcune scelte del nuovo corso del Cairo, per la ricercatrice, potrebbero fare il resto. “La popolarità di Sisi è al momento molto alta. Anche se le elezioni avvengono in un contesto che fatico a descrivere competitivo. Questo Egitto non ha nessuna caratteristica per diventare uno Stato stabile nel lungo periodo. Non è inclusivo. La Fratellanza Musulmana è tornata nuovamente in clandestinità e questo sta generando un’evoluzione interna al movimento, che sta ripensando a che utilizzo fare della violenza. Finora si è deciso di farne un uso limitato e di colpire solo obiettivi del governo e non civili. Il rischio è che la nuova generazione si radicalizzi. E non è chiaro se sia ormai troppo tardi per fare un passo indietro”.

Nasser, al sisi

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