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“Le Olimpiadi di Parigi valgono bene due guerre” potrebbe essere l’incipit della disamina dell’intelligence francese per distinguere e valutare le minacce e gli elementi della situazione internazionale che si prospetta in concomitanza con i giochi olimpici in programma dal 26 luglio all’11 agosto. Una disamina che inizia con l’ecatombe di Gaza e le considerazioni riguardanti un premier sbagliato per una causa sacrosanta.

Benjamin Netanyahu antepone il mantenimento del suo potere personale all’interesse nazionale di Israele. È questa l’opinione prevalente con la quale, a sei mesi dall’inizio dell’offensiva contro il gruppo terroristico di Hamas che si annida nei bunker sotterranei di Gaza, dagli Stati Uniti alla Germania a tutti gli alleati più saldi di Gerusalemme e da parte dell’opinione pubblica mondiale e israeliana in particolare, viene condannata l’ostinazione sempre più crudele e feroce con la quale il primo ministro sta trascinando il conflitto oltre ogni limite umanitario. L’analisi politica internazionale ritiene unanimemente che Netanyahu rifiuti di accettare il cessate il fuoco votato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e inasprisca la guerra, per evitare il collasso della sua fragile coalizione di governo e prolungare il suo mandato.
Situazione aggravata da ultimo dall’allarme per la rappresaglia annunciata da Teheran per il raid con quale Israele ha raso al suolo a Damasco il consolato iraniano dove era in corso un vertice di comandanti Pasdaran ed Hezbollah per pianificare attentati e attacchi contro le città israeliane.

Una strategia complessiva che rischia di capovolgere contro Israele la condanna per le cause scatenanti dell’offensiva a Gaza, iniziata in risposta ai disumani massacri del blitz compiuto da Hamas in territorio israeliano il 7 ottobre. Pur concordando sui terribili eccessi dell’offensiva, sul piano militare al premier israeliano viene tuttavia riconosciuto che l’implacabilità con la quale le forze di difesa israeliane continuano a avanzare a Rafah è motivata dalla necessità di farla finita una volta per tutte con il terrorismo islamico di Hamas.

Nonostante la condanna internazionale per il tragico bombardamento israeliano nel quale sono stati uccisi sette operatori di una Ong umanitaria, la World Central Kitchen, le inconfessabili valutazioni strategiche militari si aspettano, cinicamente, che Netanyahu alla fine del Ramadan completi il lavoro sporco per ripulire Gaza da Hamas e neutralizzare l’ingerenza iraniana in Libano, in modo da poter giungere ad un compromesso per la liberazione degli ostaggi e ad un cessate il fuoco. Una tregua che preceda le elezioni politiche che sanciranno il cambio di governo e la nomina di un premier, molto probabilmente Benny Ganz, che avvierà trattative per una nuova fase di coesistenza pacifica con i palestinesi depurati dall’influenza del fondamentalismo islamico.

Scenario che metterebbe fine al più lungo conflitto che coinvolge Israele da più di quaranta anni e che è a un passo dal far deflagrare la guerra totale in Medio Oriente con l’Iran, la Siria ed il Libano, bruciando per sempre tutti gli sforzi per normalizzare le relazioni diplomatiche tra Gerusalemme, Arabia Saudita e Paesi arabi moderati. Una pace che per essere condivisa da tutti e soprattutto mantenuta a lungo, non dovrà rimuovere le responsabilità dei massacri della popolazione di Gaza, usata come scudo umano e carne da macello da Hamas, e neppure il ruolo di carnefice svolto da Netanyahu.

Il miraggio della pace in Medio Oriente accentua paradossalmente il piano inclinato della fallita invasione russa dell’Ucraina, che sembra sul punto di far scivolare Mosca in un conflitto contro la Nato e l’Europa. In pratica una guerra mondiale. Eventualità provocata dal vicolo cieco in cui si è cacciato Putin. Dietro la facciata propagandistica del trionfo elettorale della rielezione alla presidenza, l’assassinio in un lager siberiano di Navalny, le accuse a Kyiv per l’attentato terroristico al Crocus City Hall, la mobilitazione di altre centinaia di migliaia di giovani russi per rimpiazzare le intere generazioni già perdute nel conflitto e la pioggia di missili ipersonici e di droni contro le città e le infrastrutture ucraine, invece che per sfondare le traballanti difese delle forze di Kyiv e risparmiare i propri soldati: sono molti i segnali che fanno pensare che vi siano manovre in corso dietro le quinte del potere in Russia. Manovre che al momento si risolvono in imperscrutabili attacchi interni ed esterni di vario tipo.

Allarmano non poco, per esempio, le affermazioni del presidente francese Emmanuel Macron secondo il quale la Russia intende interrompere le Olimpiadi. Macron ha detto di non avere dubbi sul fatto che la Russia prenderà di mira le Olimpiadi di Parigi quest’estate. “Non ho alcun dubbio, anche in termini di informazione” ha affermato testualmente il presidente francese.

“Affermazioni assolutamente infondate” ha immediatamente smentito il Cremlino. Una smentita che ricorda la solenne affermazione con la quale, alla vigilia del blitz contro Kyiv, Putin negò di voler invadere l’Ucraina. E non è un caso che dopo la Francia anche il ministro degli Esteri norvegese, Espen Barth Eide, ha affermato che l’invio di truppe occidentali in Ucraina da parte della Nato non può essere escluso come ipotesi a lungo termine.

Sul lungo fronte del Donbass, l’enfasi con la quale i comandi ucraini lamentano carenze di armamenti e di truppe e i continui annunci di offensive programmate dall’armata russa dopo l’attuale mese del disgelo che complica le manovre dei mezzi corazzati, lasciano dubitare che con l’apporto della Nato e dell’intelligence occidentale, Kyiv si prepari ad assestare a Mosca un’altra pesante sconfitta come quella del disastro dell’assalto delle truppe speciali russe alla capitale ucraina, all’inizio della fallita invasione.

È una prospettiva con potrebbe avere risvolti agghiaccianti. “Quando perdi, non perdere la lezione” insegna il Dalai Lama. Eventualità che Putin non ha mai preso in considerazione perché finora non ha lasciato sopravvivere nessun avversario.

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