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Le recenti vicende del comune campano di Quarto hanno sollevato attorno al Movimento 5 stelle un can can mediatico di insolita risonanza, che solo in parte è riconducibile al provincialismo politico italiano. Pone infatti alcune questioni rilevanti sulla natura di questo “strano” animale politico che è il M5s, la cui specie risulta ancora, a tre anni dal grande successo elettorale, difficile da classificare.

Innanzitutto, a mio parere, non è proprio il caso di scandalizzarsi per le espulsioni dal Movimento. Con un partito privo di una classe politica locale, che ha scelto la maggioranza dei candidati come li ha scelti (quattro voti sul web), è inevitabile che alla prova dei fatti venga fuori la presenza di personaggi ambigui e di profittatori, saltati sul carro del vincitore (o presunto tale) solo per entrare nelle stanze del potere. Una volta Grillo disse: il 15% mi tradirà. Ora gli espulsi o i fuoriusciti – fra i parlamentari – sono oltre il 20% ma, ripeto, non mi stupisco.

Ciò che dovrebbe distinguere il M5s dagli altri partiti – ammesso che la loro autoproclamata diversità effettivamente esista – non è la quantità di espulsioni per indegnità politica, ma la genesi delle stesse. E cioè – nel caso di corruzione o altre forme di illegalità – il provvedimento di espulsione dovrebbe accadere per iniziativa diretta del partito e non a seguito di indagini della Magistratura. Tutta la storia della corruzione politica in Italia, da Tangentopoli (ma anche da prima) a oggi ha avuto sempre lo stesso copione: la Magistratura interviene e il partito, nelle migliori delle ipotesi, si tira in disparte e dice “aspettiamo il suo giudizio”. Non ricordo un solo episodio nel quale il processo sia stato invertito, e il partito abbia provveduto alla denuncia alla Magistratura.

Alle spalle di questa dinamica c’è una concezione: quella delle “mele marce”. E cioè si afferma: il partito è sano, ma anche nelle migliori famiglie capita prima o poi qualche mela marcia. Spiegazione di comodo e assolutamente errata. Gli psicologi sociali distinguono, fra gli impulsi che determinano il comportamento umano, le “forze disposizionali” (attitudini individuali) dalle “forze situazionali” (le influenze del contesto). Le seconde sono assai forti, di solito di più delle prime. In altre parole il comportamento illegale è largamente indotto dal contesto favorevole. Raramente è veramente individuale, nella norma è collettivo. E comunque le complicità sono diffuse. In altre parole se non tutti, molti sapevano. Per cui la responsabilità dell’azione illegale va ricondotta non a singoli casi isolati ma al contesto istituzionale (nel nostro caso al partito) che come minimo non ha saputo vigilare (e come massimo è connivente).

E dunque, se il M5s vuole essere veramente diverso dagli altri partiti, deve da questi distinguersi anticipando (anzi promuovendo) l’intervento della Magistratura, denunciando i comportamenti illegali dei propri adepti. Ora non so bene cosa sia successo a Quarto, se veramente De Robbio sia stato espulso per iniziativa autonoma del partito, oppure solo per anticipare l’intervento della Magistratura ormai in arrivo e proteggersi da questo. Ma l’impressione è che sia vera la seconda ipotesi.

Semmai il problema è quello delle modalità di queste espulsioni. Anche quest’ultima, della sindaco Capuozzo, è avvenuta secondo l’antico copione: intervento del duo Grillo-Casaleggio e fine. Grillo infatti possiede il simbolo del Movimento, e può interdirne l’uso quando vuole (art. 4 dello statuto “spettano al signor Giuseppe Grillo titolarità, gestione e tutela del contrassegno”). Ma contano o non contano gli attivisti locali? Il “popolo”, che conosce i fatti direttamente e non per intermediazione dei mass media o dei vertici nazionali dei partiti, non conta nulla? A quanto pare la Capuozzo aveva l’appoggio della base locale e della maggioranza dei consiglieri, che nulla hanno potuto dire sulla sua espulsione. E nemmeno il “popolo del web”.

Resta l’impressione di una fondamentale arbitrarietà nei meccanismi di espulsione dal Movimento: ricordiamo nei primi tempi le espulsioni di esponenti per la sporadica partecipazione a un talk show televisivo, mentre ora, per l’appunto a seguito della vicenda di Quarto, gli stessi talk show sono stati frequentati a dismisura dai Cinque stelle a difesa del proprio onore.

Due sono a mio parere le lezioni da trarre da questo episodio. La prima è perfino banale: facile è criticare, assai più difficile governare. I Cinque stelle hanno fatto della critica radicale alla politica tradizionale la loro cifra distintiva, ma quando sono andati al governo, sia pure di piccole realtà, si sono trovati spesso in difficoltà. C’è quasi da augurarsi – per il bene per l’intera nazione – che alle prossime elezioni comunali il Movimento riesca a conquistare una delle grandi città al voto: potrà essere un banco di prova delle loro effettive capacità di governo.

Nello stesso tempo, la critica anche feroce verso il Movimento ed i suoi errori non può farci dimenticare l’istanza che essi rappresentano: hanno dato voce politica alla sfiducia nei dirigenti e nelle istituzioni politiche, che nella nostra – come in tutte le democrazie europee – domina i sentimenti dei cittadini. E mi piace concludere con una citazione tratta da un recente libro dello storico belga David Van Reybrouck, il quale, riferendosi all’intero mondo occidentale, scrive: “Senza una riforma drastica, questo sistema non sopravviverà a lungo. Se si guarda l’aumento dell’astensionismo, la diserzione dei militanti e il disprezzo che colpisce i politici, se si guarda la difficile gestazione dei governi, la loro mancanza di efficacia e la severità della “correzione” inflitta dall’elettore alla fine del loro mandato, se si guarda la rapidità del successo del populismo, della tecnocrazia e dell’antiparlamentarismo, se si guarda al numero crescente di cittadini che aspirano a una maggiore partecipazione, e la velocità con cui quest’aspirazione può trasformarsi in frustrazione, ci si dice: ci resta un minuto” (Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico, Milano, Feltrinelli, 2015).

(Articolo uscito sull’ultimo numero della rivista Formiche)

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