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La riforma delle Bcc? Non sarà un pranzo di gala. Qualcuno, uscendo dalla sala al termine del convegno, lo sussurra. E forse in molti altri lo pensano. Scomodando persino Mao per descrivere con meticolosità lo stato d’animo, tutt’altro che sereno, all’interno di quel credito cooperativo in corsa contro il tempo per autoriformarsi. Prima che la Bce (e il governo) perdano la pazienza. Ma facciamo un passo indietro.

IL CONFRONTO-VERITA’ AL SENATO

Ieri pomeriggio, al Senato, si è tenuto un seminario sull’autoriforma del credito cooperativo messa a punto dalla Federcasse la scorsa primavera presentata settimane fa alle autorità competenti (Bankitalia in primis) per una prima valutazione. Presenti una cinquantina di funzionari e rappresentanti del credito, riuniti a Palazzo Madama per un primo giro di tavolo sulla riforma stralciata dal governo a inizio anno dal decreto sulle popolari, in cambio di una rapida autoriforma delle Bcc affinchè i piccoli istituti sopravvivano alla crisi. Ora, quella proposta c’è, l’hanno vista a Bankitalia e anche a Palazzo Chigi. A breve, entro un paio di settimane, il governo dovrà approntare il decreto in grado di recepirla. E qui vengono i dolori.

LA SPACCATURA DELLE BCC

L’associazione delle Bcc è lacerata come non mai, perchè al netto della Cassa centrale trentina, che già si è fatta la propria holding, il progetto di una capogruppo unica caldeggiato da Federcasse non piace proprio a tutti. E alla fine, uscendo dal convegno, in molti hanno ammesso l’esistenza di “dubbi e perplessità” sul percorso di riforma, auspicando il ricorso a più soggetti aggregatori. La riunione del Senato, a conti fatti, ha quindi sancito ancora una volta la profonda spaccatura interna alle Bcc che salvo miracoli presenteranno al governo un decreto condiviso solo a metà.

AZZI INSISTE, CAPOGRUPPO UNICA SCELTA PIU’ GIUSTA

Ma il presidente di Federcasse Alessandro Azzi, tra gli animatori dell’incontro, ha voluto ribadire la sua idea di autoriforma, incentrata sulla figura di una capogruppo unica (Iccrea Holding sarebbe la prescelta), dentro cui far confluire tutte le oltre 370 banche cooperative sparse in Italia. “La frammentazione non solo indebolirebbe tutto il sistema ed affievolirebbe la capacità di stare sul mercato, ma porterebbe anche ad una nefasta concorrenza interna e al rischio di escludere una parte delle Bcc”, ha detto Azzi, ribadendo la sua contrarietà a un sistema basato su più capogruppo. Azzi ha però trovato una sponda preziosa in Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, per il quale “la capogruppo unica é uno sbocco fisiologico e non farla darebbe svantaggio competitivo”. Fin qui il punto di vista delle banche. Adesso però il boccino passa in mano alle istituzioni.

LE CONSIDERAZIONI (VAGHE) DI BANKITALIA

Sulla questione è intervenuta ovviamente anche Bankitalia, i cui tecnici hanno già esaminato il testo di riforma. Il numero uno della Vigilanza bancaria, Carmelo Barbagallo, ha sì ribadito “l’urgenza” della riforma, ma ha anche evitato di prendere una posizione netta sul numero delle capogruppo chiamate ad assemblare il sistema cooperativo, evitando riferimenti a un unico soggetto. Anzi. Il dirigente di Via Nazionale ha auspicato un modello cooperativo “paritetico” con “un’aggregazione in gruppi che potrà avere effetti positivi per tutte le banche di credito cooperativo anche per quelle piu’ efficienti e meglio gestite”. Parole che non chiariscono del tutto l’effettiva posizione di Bankitalia rispetto al modello proposto da Federcasse.

IL GOVERNO DETTA I TEMPI (E STRIZZA L’OCCHIO A FEDERCASSE)

A Palazzo Chigi però hanno fretta. Perché se entro fine anno l’autoriforma non vedrà la luce, la Bce si farà sentire, imputando al governo la responsabilità di non aver riformato il settore per decerto, come avvenuto per le popolari. Il governo sa che il credito cooperativo è in subbuglio. E per questo, per bocca del sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, ha sollecitato le Bcc a trovare la quadra, prima di essere costretto a prendere in mano la situazione e decidere per tutti quanti. “Vogliamo approntare un decreto il più condiviso possibile, prima si discute meglio è. Ma se dobbiamo decidere noi, lo faremo”, ha detto non troppo scherzosamente Baretta. Facendo trapelare poi l’orientamento dell’esecutivo sulla riforma, proteso alla costituzione di una holding unica:  “Dobbiamo evitare che la frantumazione riduca l’impatto positivo: una cosa è un gruppo, un’altra due ma con cinque-sei cambia tutto”. Una mezza tirata di volata ad Azzi.

I POSSIBILI SCENARI IN PARLAMENTO

Ma alla fine sarà capogruppo unica o no? “Dipende da chi avrà più potere o no”, dice al cronista un partecipante all’incontro all’uscita del convegno. Una frase che la dice lunga sul percorso a ostacoli della riforma e sull’assoluta incertezza del testo che uscirà non da Palazzo Chigi, bensì dal parlamento. Il governo molto probabilemnte recepirà la proposta di Federcasse e farà il decreto. Poi però toccherà al Parlamento e lì l’altra anima del credito cooperativo potrebbe dire la sua, magari con degli emendamenti, riaprendo la partita in commissione Finanze. Sempre che, nel frattempo, non scoppi improvvisamente la pace tra guelfi e ghibellini. Vedremo.

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