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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Su un aspetto, non molto valorizzato, la presidenza di Barack Obama è stata innovativa rispetto all’intero Novecento delle relazioni internazionali americane: la progressiva distanza politica scavata durante l’adempimento dei suoi due mandati nel rapporto verso l’Arabia Saudita. L’allontanamento della Casa Bianca nei confronti del governo di Riyadh ha molti significati e tanti di questi portano, indirettamente, anche sui luoghi della più terribile strage terroristica europea forse di sempre: la carneficina a Parigi.

Obama, infatti, non ritiene che sia più possibile avere un Paese alleato incapace di modernizzarsi e fermo, in pieno ventunesimo secolo, a regole di vita da medioevo. Il regno saudita, per l’amministrazione Usa, deve voltare pagina, modernizzarsi, aprirsi, se non alla democrazia compiuta, quantomeno a regole di convivenza civile più consone ad un mondo globalizzato. Il presidente americano non gradisce l’immobilismo saudita e ancora meno l’insensibilità di un alleato storico di Washington nel capire i bisogni del mondo contemporaneo. Un Islam così immobile nella modernità e nello scorrere della storia rappresenta un’immagine di conservazione che non aiuta in nulla l’evoluzione verso un Islam moderato e integrato con il mondo di oggi.

Per questa ragione i 129 morti civili di Parigi, uccisi da una squadra di kamikaze e di fiancheggiatori sunniti del Daesh, scoperchiano anche le troppe simpatie, spesso i finanziamenti, che nel mondo sunnita non sono mancati negli ultimi anni ai movimenti terroristici più radicali. Qualcosa iniziato per ribaltare i governi ritenuti non amici di Libia e Siria che poi è sfuggito di mano. Ma il Daesh per vivere e agire ha avuto e ha bisogno di sostegni e di supporti. E questi, se non derivanti dai bottini di guerra, quasi sempre sono di matrice sunnita.

Così, da quando sono iniziati gli sgozzamenti di occidentali su Youtube e il gioco si è fatto estremo, Obama non ha più concesso nessuno spazio al dubbio o all’incertezza. Ha favorito il verificarsi delle condizioni perché si potesse chiudere l’accordo con l’Iran, per rafforzare l’unico vero avversario di Riyadh nella regione per potenza militare ed economica. Le milizie di Teheran già combattono in Iraq e in Siria contro il Daesh e sono diventate un naturale alleato nella lotta al terrorismo estremista di matrice islamica. E ha anche ulteriormente rafforzato i segnali di distacco verso Riyadh, per ribadire che a queste condizioni Washington cambia le regole di ingaggio, perchè oggi è interessato a nuove strategie e, senza cambiamenti o evoluzioni, anche a nuove alleanze nella regione del Golfo. Le campane a morto di Parigi, insomma, sono il messaggio più forte e meno equivoco che l’Occidente poteva inviare ai governi sunniti del Golfo: basta doppiogiochismo nella lotta al terrorismo sunnita.

russia arabia saudita

Perché Obama ora dubita dell'Arabia Saudita

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