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Mentre l’inviato speciale dell’Onu Bernardino Leon continua la sua missione per aiutare la Libia a costituire un governo di unità nazionale, la Lega Araba, come si legge nel comunicato conclusivo del recente incontro svoltosi al Cairo per discutere delle richieste avanzate dal governo di Tobruk, “richiede la delineazione di una strategia araba per fornire assistenza militare alla Libia nella lotta contro l’Isis”. E’ prevalsa, dunque, l’inazione?

Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (Cesi), in una conversazione con Formiche.net ritiene che “l’esito poco concreto derivi dalla presenza di insufficienti garanzie circa la tenuta effettiva del governo di Tobruk, unita a una difficoltà oggettiva da parte dei libici di accettare una terzietà da parte di alcuni Paesi della Lega Araba”.

L’incontro al Cairo si è mosso sulla scia della Risoluzione Onu 2214 con la quale nel marzo scorso il Consiglio di Sicurezza aveva stabilito un cessate il fuoco immediato e senza condizioni, estendendo fino al 15 settembre prossimo la missione Unsmil guidata da Bernardino Leon,che ha ottenuto  il consenso di 20 su 24 fazioni libiche alla creazione di un governo unitario. Manca all’appello il governo di Tripoli deciso ad assicurarsi una presenza più concreta nel futuro del Paese.

Per quanto riguarda la possibilità di intervenire militarmente, come ricordato anche dal generale Leonardo Tricarico su Formiche.net, Margelletti dice: “Immaginare tale scenario per poi trovare una soluzione diplomatica è assolutamente disastroso. Gli interventi militari vanno definiti prima, con quali modalità, quali tempistiche e con quale scenario politico globale”. Ma nel caso in cui il Consiglio di Sicurezza dovesse decidere di avviare operazioni militari, “il nostro Paese avrebbe tutte le capacità politiche, militari e diplomatiche per svolgere un ruolo da leader, ma il punto è sempre politico: quanto siamo volenterosi e disposti a impegnarci?”.

“Qualsiasi intervento in Libia – continua il presidente del Cesi – dipenderà dal tipo di alleanza che si andrà a creare. Un’alleanza che può svilupparsi sotto il cappello Nato, della Lega Araba o di una coalizione mista. Ma prima di eccitarci tutti se mandare 10 o 100mila soldati, è necessario definire il quadro interno in cui i soldati andranno a operare, con quale tipo di governo e di realtà libica si andrà a interagire e solo poi sarà possibile discutere delle modalità tecniche di intervento, altrimenti andremo soltanto a replicare i disastri terribili fatti in passato in altri Paesi”.

La precarietà della situazione libica continua a far temere. E chi pensa che sia “solo” l’Isis a costituire una minaccia per il Paese, probabilmente non considera che le divisioni interne e il peso delle tribù che vivono i territori costituisce uno dei più grandi ostacoli alla creazione di un Paese pacifico, democratico, unificato e in grado di reggersi sulle proprie gambe. Il rischio di creare una nuova Somalia non è poi così distante.

Margelletti ricorda che si tratta di un contesto difficile: “Per questo dobbiamo impegnarci a creare un ombrello politico libico che, nell’ipotesi in cui soldati stranieri – della Lega Araba, europei, americani o sudafricani – dovessero entrare in Libia, vengano percepiti come realtà di stabilità e non come nemici e magneti per proiettili. Qualsiasi forma assumerà la Libia, questa dovrà essere il risultato di scelte libiche; se dovessimo nuovamente fare accordi sul genere Sykes-Picot, decidendo noi quale Libia vogliamo, ne pagheremo le conseguenze”.

Cosa (non) si può fare in Libia. Parla Margelletti

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