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Fa parte del bilancio politico della strage di venerdì a Parigi anche il fallimento del nuovo centrodestra italiano a trazione leghista, di recente festeggiato invece a Bologna dal segretario del Carroccio, Matteo Salvini, accanto alla giovane sorella dei “Fratelli d’Italia”, Giorgia Meloni, e a un anziano e apparentemente rassegnato Silvio Berlusconi. Che per la prima volta negli oltre 20 anni della sua esperienza politica aveva accettato di salire e scendere da un palco senza esserne il protagonista.

Già unito più a parole che altro, e comunque monco di pezzi usciti progressivamente da Forza Italia in due anni di tempo, dall’ex delfino, sempre a parole, Angelino Alfano all’ex segretario Sandro Bondi e compagna senatrice, dall’ex governatore pugliese Raffaele Fitto all’ex repubblicano Denis Verdini, giunto tra i forzisti al ruolo di coordinatore nazionale e selezionatore dei candidati alle Camere; già unito, dicevo, più a parole che altro, il presunto nuovo centrodestra si è sfasciato su come fronteggiare i problemi posti dalla recrudescenza del terrorismo islamico.

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I capigruppo parlamentari di Forza Italia, specialmente quello del Senato, Paolo Romani, già sofferente al raduno di Bologna, hanno partecipato con convinzione all’incontro promosso dal presidente del Consiglio Matteo Renzi con i rappresentanti della maggioranza e delle opposizioni, assicurando la responsabile disponibilità a una risposta unitaria e solidale all’emergenza imposta dalla guerra dichiarata e praticata a mezzo mondo, in particolare all’Occidente, dal fantomatico ma attivissimo Stato Islamico.

I rappresentanti della Lega sono arrivati e usciti dall’appuntamento parlando, in concorrenza con i grillini, di “tempo perduto”. E hanno colto l’occasione per rilanciare l’ormai vecchia e ossessiva campagna di linciaggio condotta da Salvini contro il ministro Angelino Alfano. Che avrà certamente i suoi limiti, per carità, ma è pur sempre il ministro dell’Interno del governo italiano. Il suo ruolo istituzionale merita il rispetto anche dell’opposizione più dura. Scommettere sul suo insuccesso in questo drammatico e per tutti rischioso passaggio politico, interno e internazionale, è di un autolesionismo assoluto.

Peraltro lo stesso partito di Salvini collabora con quello di Alfano nel governo, per esempio, di una regione importante come la Lombardia, guidata da un leghista non certo minore che si chiama Roberto Maroni. Il quale non è per niente imbarazzato dall’alleanza con il suo successore, peraltro, al vertice del Viminale, nonostante il “cretino” gridatogli in piazza da Salvini.

Queste considerazioni sul ministro dell’Interno valgono naturalmente anche per quei forzisti che sotto sotto, ma qualche volta anche sopra sopra, condividono l’astio di Salvini non volendo perdonare ad Alfano la rottura politica consumatasi due anni fa: quando Berlusconi, per reazione alla sua decadenza da senatore per la condanna definitiva per frode fiscale, tentò di rovesciare il governo delle cosiddette larghe intese da lui stesso voluto pochi mesi prima e presieduto da Enrico Letta. Di cui lo stesso Alfano era vice presidente, oltre che ministro dell’Interno. Un doppio incarico finito nel governo successivo guidato dal neo-segretario del Pd Renzi grazie anche al famoso Patto del Nazareno con Berlusconi sulle riforme istituzionali.

Eppure Renzi da candidato alla segreteria del Pd era stato fra i più impegnati a diffidare Enrico Letta da ogni tentazione di aiutare Berlusconi a resistere alla sua decadenza dal Parlamento investendo la Corte Costituzionale della controversa applicazione retroattiva della cosiddetta legge Severino, usata appunto per espellerlo dal Senato.

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Di fronte alla brevissima durata dello scenario bolognese del centrodestra, travolto dagli effetti politici della strage di Parigi ed eventi successivi, potrebbe convenire di più a Berlusconi tornare alle originarie e più ragionevoli reazioni alla rottura con Alfano, quando chiamò “cugini” i fuoriusciti invitando i suoi a mettere nel conto una riconciliazione elettorale con loro contro il Pd. Che ora, sotto la guida di Renzi, è peraltro diventato un avversario, o concorrente, ancora più pericoloso per quello che ormai fu il centrodestra, e assai difficilmente potrebbe risultare più competitivo a guida leghista in una scalata a Palazzo Chigi per sloggiare, come dice o sogna Salvini, l’attuale presidente del Consiglio.

Corte Costituzionale

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