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Forse è troppo presto per parlare di format televisivo a rischio di estinzione. Ma certo è che da qualche anno i talk show sono in crisi. Eppure, continuano a proliferare. Soprattutto sulle reti della televisione generalista.

La7 è l’emittente che ne trasmette di più, seguita da Rai, Mediaset e Sky. Peccato che gli ascolti siano in ribasso. Dando un’occhiata ai dati Auditel dello scorso anno, riassunti in un recente studio di Gennaro Pesante dell’ufficio stampa della Camera dei Deputati (“La fine dei talk show e il futuro della televisione”, Historica edizioni) si tratta di un fenomeno generalizzato.

Per fare degli esempi, Porta a Porta di Bruno Vespa negli ultimi 2 anni ha perso quasi mezzo milione di telespettatori, anche se racimola ancora ottimi ascolti con i grandi eventi televisivi (è il caso dell’intervista a Beppe Grillo). Virus, condotto da Nicola Porro su Rai 2, si è fermato a 900mila, in leggero calo rispetto al 2012. Ma il programma più penalizzato è stato Ballarò, format di punta di Rai 3, anche a causa dell’addio di Floris: 3 milioni di telespettatori in meno. Non sorride nemmeno Luca Telese. Matrix, in onda su Canale 5 in seconda serata, ha perso 4 punti di share. Stesso discorso per i talk show di La7, anche quelli del prime time nelle mani di conduttori consolidati come Michele Santoro, Lilli Gruber e Corrado Formigli. Arrancano, ma sopravvivono, La Gabbia di Gianluigi Paragone e Quinta Colonna di Paolo Del Debbio. «Questi programmi spesso si riducono a salotti chiassosi dove c’è la gara a chi la spara più grossa – spiega Pesante – perché tanto conta solo essere in video, non quello che si dice».

Per molti commentatori la débâcle dei talk show è dovuta ad alcuni fattori. Anzitutto la perdita di credibilità del sistema politico, nonostante la continua invasione dei parlamentari negli studi televisivi. Eppure, a un’analisi più approfondita sarebbe più corretto palare di frammentazione del pubblico. Ne è convinto Carlo Freccero, ex direttore di Rai 4 e tra i maggiori esperti di televisione in Italia. «Negli ultimi anni c’è stata un’emorragia di pubblico borghese, che rappresentava un grande capitale culturale ed economico e ha scelto di emigrare sulla pay-tv. I talk show si sono omologati perdendo i contenuti premium. E i telespettatori si dividono perdendosi nell’offerta di prodotti-clone. Si pensi a Di Martedì, strutturato sulla falsariga di Ballarò».

Ma per Freccero a provocare la crisi di ascolti è stato soprattutto l’impatto dei new media. «La politica ha perso appeal, visto anche il tramonto di Berlusconi e della logica dello scontro, ma è stato internet a rubare la scena ai talk show. Il dibattito vero ormai viaggia in rete. Twitter è diventato lo sfogatoio collettivo e istantaneo nel quale alimentare la rabbia e la contrapposizione. Il risultato è che questo format ha perso la sua drammaturgia, diventando appendice di un evento che si consuma altrove». Un altro limite evidente sembra essere nei contenuti. «In Italia si parla solo di politica locale – continua Freccero – mentre all’estero si parla molto più di politica estera. Meno propaganda, più analisi. E i conduttori sono molto più preparati».

Intanto la nuova stagione televisiva è in corso di definizione. Molti programmi sono stati confermati e tra questi anche i talk show, a dispetto degli scarsi ascolti. Un paradosso che per Pesante si spiega con strategie aziendali sbagliate. «I talk show sono lo specchio di un sistema auto-conservativo che riposa sulla lottizzazione – dice – mentre si dovrebbero confermare solo quelli che funzionano provando a creare nuovi format, magari dando spazio all’informazione politica in modo diverso. Un’idea alla quale stiamo lavorando è la creazione di un canale tematico di tipo istituzionale, interamente dedicato ai lavori parlamentari». Il fatto è che la televisione conta ancora. Anche nell’era dell’informazione cross-mediale. È lì che i politici cercano visibilità, anche se poi utilizzano la rete. «Si parla di decadenza del mezzo televisivo – conclude Pesante – ma in realtà internet lo rincorre riproponendo i suoi contenuti per alimentare delle discussioni. Una grande opportunità che la televisione ha il dovere di sfruttare».

Il destino dei talk show è segnato? Difficile dirlo. I canali tematici sono la nuova frontiera, ma c’è anche chi resiste sulla televisione generalista attraverso la diversificazione dei generi. Il talk show di Bruno Vespa è ormai un contenitore sempre più ibrido, che spazia dalla politica alla cronaca, senza farsi mancare l’intrattenimento. L’obiettivo è sempre quello: accaparrarsi una buona fetta di pubblico. Più selezionato e competente. Meno propenso a fuggire su altri canali.

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Il futuro dei talk show? Format più tematici

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