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Da qualche giorno sta facendo molto discutere un’intervista che l’ex premier britannico Tony Blair ha concesso a Fareed Zakaria per la CNN. Blair avrebbe chiesto scusa per la guerra d’Iraq, e la circostanza ha infiammato i media italiani e stranieri, che hanno ripreso la notizia con enfasi e sensazionalismo, forse esagerato, forse spinto da letture ideologiche (Blair è da anni accusato di aver tradito i principi della sinistra, il pacifismo che ai tempi toccava il culmine, assecondando la richiesta americana del neocon guerrigliero George W. Bush di attaccare l’Iraq nel 2003).

Blair in realtà non ha per niente chiesto scusa per la guerra, ma piuttosto ha difeso l’intervento del 2003, ammettendo comunque che alcuni errori sono stati commessi: «Trovo difficile chiedere scusa per aver rimosso Saddam, e ancora oggi credo che l’Iraq senza Saddam sia migliore di quanto non lo fosse con lui», ha detto. Si è invece scusato «per aver seguito delle informazioni di intelligence sbagliate», quelle che hanno attribuito a Saddam Hussein il possesso di armi di distruzione di massa e che erano la ragione ufficiale per l’intervento militare del Regno Unito accanto agli Stati Uniti. Si è scusato anche «per alcuni errori di pianificazione e, certamente, per i nostri errori di valutazione su ciò che sarebbe accaduto una volta rimosso il regime». Il riferimento, ovvio, è alla situazione attuale, all’avanzata spropositata del gruppo estremista guidato da Abu Bakr al Baghdadi, ma anche agli anni immediatamente successivi all’invasione, quelli che hanno portato alla guerra civile settaria che ha prodotto l’implosione dello Stato iracheno.

Blair però ha anche evidenziato il dramma siriano come uno dei pericoli dell’inazione (nota: la quota dei morti causati dalla guerra civile in Siria ha raggiunto 250 mila).

SONO POSIZIONI NON NUOVE QUELLE DI BLAIR

Anche se molti dei giornali che hanno ripreso l’intervista hanno dimenticato di ricordarlo, queste opinioni sono già state espresse in passato dall’ex primo ministro inglese. Tuttavia, con più o meno dolo, s’è preferito dare risalto a due argomenti di sicuro appeal tra un certo genere di opinione pubblica: quelli da cui nascono i titoli e articoli del genere “Blair si scusa per la guerra in Iraq” e “ammette che ha creato l’Isis”. Entrambi dei falsi. Durante l’intervista alla CNN Blair ha soltanto detto che ci sono elementi di verità nel fatto che la guerra irachena possa aver “gonfiato” le potenzialità dell’attuale IS: un ragionamento quasi ovvio (se tu vai a combattere i tuoi nemici terroristi piuttosto che lasciarli liberi di agire, è possibile che questi si difendano e contrattacchino). Affermazione che contemporaneamente strizza l’occhio al pensiero maistream.

LA STORIA DELL’IS E LA GUERRA DEL 2003

È ormai noto che la storia dell’Isis, o IS, abbia preso vita dall’esperienza di Al Qaeda in Iraq (AQI), cioè la fazione del network globale del terrorismo jihadista guidata dal terrorista Abu Musab al Zarqawi a cui Saddam Hussein, sunnita, aveva offerto protezione già prima dell’arrivo delle forze occidentali. Sulle relazioni tra l’IS e il regime baathista di Saddam, sono state raccolte molte testimonianze provanti in questi ultimi mesi. Così come sulla linea cronologica che lega i baghdadisti attuali ai miliziani qaedisti di Zarqawi ci sono pochi dubbi ormai. Tanto che molta dell’attuale leadership sembra sia stata ereditata dall’esperienza precedente; e Zarqawi è venerato come un eroe popolare dai sunniti radicali iracheni: e questa magari è una di quelle conseguenze, dei “gonfiaggi” di forza, di cui ha parlato Blair. In verità, però, AQI durante gli anni successivi all’invasione del 2003, era stata quasi annientata dal Surge americano promosso dall’allora capo delle operazioni in Iraq, il generale David Petraues, e dal connesso Sunni Awekening, il risveglio dei sunniti iracheni che aveva isolato i terroristi.

L’INCHIESTA CHILCOT

Secondo molti osservatori, l’intervista di Blair ha un timing molto chiaro: sono in arrivo, infatti, le conclusioni dell’inchiesta parlamentare “Chilcot”, che indaga sulla guerra d’Iraq e prende il nome da Lord Philip Chilcot, colui che Gordon Brown incaricò nel 2009 di guidare la commissione indagante. Il capo corrispondente politico del Guardian, Nicholas Watt, ha scritto che quello di Blair è stato un tentativo di «preparare il terreno» in vista del rapporto parlamentare (che si prevede duro sulle responsabilità del governo di allora). La leader dello Scottish National Party Nicola Sturgeon su Twitter ha definito l’intervista un’operazione di spin politico.

Brendan O’Neil sul suo blog sullo Spectator ha invece evidenziato un’altra questione: le scuse di Blair non portano ad un dibattito proficuo sul militarismo, ma piuttosto a un «raccapricciante processo-show sulla morale dell’ex primo ministro» e della sinistra inglese. O’Neil ha paragonato queste vicende alle streghe bruciate nel Medioevo: con i sacrifici sull’altare dei media come quello di Blair, secondo O’Neill, i Labour sperano di «purificarsi» davanti all’elettorato «e tornare grandi». Nel 2004 Madelein Bunting spiegò in un editoriale sul Guardian che occorreva «lasciare che Blair pagasse il prezzo per l’Iraq» per dare un «nuovo impulso [a sinistra]». Eccoci qua.

Irak, ecco quello che ha detto davvero Blair

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