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Credo che sia utile, anche per i lettori di Formiche.net non coinvolti nelle politiche locali, ricostruire sia pure molto rapidamente la battaglia che si è svolta per superare il regimetto burlandiano in Liguria: naturalmente ciò comporta fare i conti con un punta di vista molto personale di chi come me di questo avvenimento è stata protagonista. Ma è utile perché consente di capire come certi blocchi della nostra società e più in particolare del nostro Stato possano essere affrontati e superati con la necessaria intelligenza politica.

La pietra più importante per il superamento del “regimetto” è stata posta nella fase dell’alluvione grazie a un duplice comportamento: il rifiuto della sciacallaggine, dell’affidare la politica alla magistratura, e insieme la capacità di sfidare l’arroganza politica del “regimetto” senza cedere a quei consociativismi impropri che tante volte avevano tentato anche forze di centrodestra.

Importante il ruolo della Lega, che sta emergendo come la forza più robusta della protesta popolare ma che poi si è dimostrata capace di fare politica convergendo su un candidato presidente che poteva unire il centro destra e dunque vincere. Naturalmente è un peccato che non si sia ricorso a forme di consultazioni per così dire “repubblicane” (per richiamare l’esperienza americana) nella scelta dei candidati alla presidenza regionale, ma talvolta i tempi per le scelte più giuste sono più lunghi di quel che speriamo.

Importante il ruolo di Fratelli d’Italia con un intelligente collegamento tra Lega e Forza Italia che ha funzionato e ha anche consentito un buon risultato elettorale.

Importante la scelta di settori moderati del centrodestra, anche dell’Ncd, che hanno rifiutato l’ammucchiata con il centrosinistra e scelto di contestare il “regimetto” .

Decisiva infine la scelta di Forza Italia di giocare il suo coordinatore nazionale e di mobilitare così le risorse di un partito colpito dalle persecuzioni contro Silvio Berlusconi.

Personalmente alla fine ho scelto di appoggiare la scelta “Toti” (e credo di avere dato un mio contributo rilevante non solo in voti e influenza ma persino nel raccogliere le firme per la presentazione delle liste) perché sapevo che questo era l’anello decisivo per una possibile vittoria: se teneva Forza Italia c’era possibilità di vincere, se no, no.

Non mi sono mai nascosta che questa scelta implicava rischi personali: una parte dei miei elettori aveva difficoltà a votare Forza Italia. La lunga persecuzione antiberlusconiana dal 2010 in poi a me appare nel suo senso di fondo soprattutto un colpo alla democrazia dato da chi voleva estromettere uno dei protagonisti della politica italiana. A molti elettori di centrodestra appare anche come espressione di errori personali o scelte politiche sbagliate  che hanno spinto innanzi tutto all’astensione ma anche a un voto diverso.

Insieme una parte dell’elettorato di Forza Italia (anche forse per qualche ingenerosità nei miei confronti di una macchina di partito peraltro comprensibilmente concentrata nello sforzo di reggere una sfida in una situazione difficilissima) aveva, poi, qualche difficoltà a votare una candidata indipendente come me.

Il rischio assunto, nonostante un buon risultato di preferenze, si è poi tradotto nella mia non elezione: ma comunque non mi pento della scelta fatta. Colpire il “regimetto” era fondamentale anche per riprendere un’iniziativa politica non solo regionale ma nazionale. Dimostrare che si può vincere è la base per ridare speranza a un’area della società italiana molto impegnata innanzi tutto a leccarsi le proprie ferite. Rimettere in piedi un processo di ricostruzione del centrodestra (e insieme di più generale rinnovamento della politica italiana) era un fatto che giustificava anche sacrifici personali.

Ora gli sforzi compiuti anche personalmente insieme ai cittadini che hanno avuto fiducia in me, credo che mi consentano di dare qualche suggerimento.

Il primo riguarda la mia Regione innanzi tutto con un fondamentale consiglio: si studi con attenzione l’esperienza di centrodestra di quindici anni fa per capirne i limiti che non consentirono la vittoria alla fine del primo mandato. Per governare bene ci vuole compattezza politica garantita dai partiti della coalizione, ci vuole collegamenti con la società (decisivi per uno schieramento politico che prende circa un terzo del cinquanta per cento dei votanti e deve quindi legittimarsi di fronte a una società che in grande parte “non l’ha votato”) e ci vogliono competenze-relazioni con un establishment spesso influenzato dal “regimetto” e ancor più dal governo renziano. A questo proposito si consideri come il non rapporto con l’establishment abbia consentito di licenziare in pochi minuti la giunta Cota cioè di un’altra regione come il Piemonte dove l’establishment guarda a sinistra.

Il secondo suggerimento riguarda il quadro nazionale: la vittoria ligure è importante perché sconfigge il regime di commissariamento dell’Italia secondo il quale le scelte politiche non debbono disturbare i grandi protettori internazionali che dal 2010 in poi grazie innanzi tutto a Giorgio Napolitano (insieme ai suoi Monti-Letta-Renzi) hanno definito una sorta di sovranità particolarmente limitata per l’Italia.

C’è chi contrappone nell’analisi del voto Matteo Renzi a Beppe Grillo: in realtà il grillorenzismo ha una matrice unitaria. Chi governa deve governare in “nome di…” chi protesta non deve offrire un’alternativa ma un alibi a chi “governa-in-nome-di ….”: l’alibi di “o così (commissariati) o il caos”.

Non va così nelle altre grandi nazioni europee: gli evidenti collegamenti (per lo più maggiormente sulle idee che sulle scelte organizzative) tra David Cameron e Nicolas Farage, Tra Nicolas Sarkozy e Marine Le Pen, tra i popolari spagnoli e i ciudadanos, tra lo Psoe e i Podemos, (e fenomeni simili si registrano anche in un’altra grande nazione come la Polonia) dimostrano come grandi popoli con grandi tradizioni statuali non si arrendono ai commissariamenti e preparano le alternative non solo a un “più Europa” ma anche a un “meno Europa”, l’unica via per non essere commissariati.

In Italia questa via può esser percorsa ancora più facilmente perché il rapporto tra leghisti e area moderata del centrodestra è cementato da oltre venti anni di rapporti: il problema è senza dubbio di programmi e forme organizzative che aiutino questa scelta, ma anche di avere piena consapevolezza di quale sia l’avversario cioè il partito del commissariamento grillorenziano. Questo partito è stato sconfitto in Liguria e da qui può derivare una lezione nazionale particolarmente interessante per tutta la nostra nazione.

Come abbiamo ricostruito il centrodestra in Liguria

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