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L’Italia è il primo paese del G7 a riprendere la sua missione diplomatica a Damasco dallo scoppio della guerra civile nel Paese. L’annuncio del ministro degli esteri Antonio Tajani rappresenta una mossa diplomatica precisa, che mira ad impedire alla Russia di monopolizzare gli sforzi diplomatici nel Paese mediorientale. Non sfuggirà che Mosca resta un interlocutore primario del presidente siriano Bashar Assad sin dall’inizio della guerra civile siriana detonata nel marzo 2011.

Il quadro

Secondo Tajani la politica europea in Siria dovrebbe essere adattata allo “sviluppo della situazione”, aggiungendo che Roma ha ricevuto supporto da Austria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovenia, Cipro e Slovacchia, mentre gli Usa restano contro il governo di Assad a causa delle preoccupazioni sulle violazioni dei diritti umani.

Le recenti comunicazioni tra Putin e al-Assad sono state caratterizzate dal timore dell’aumento delle tensioni in Medio Oriente, Gaza in primis. Ma il conflitto in loco nel corso degli anni ha subito l’intervento di forze straniere su tutti i fronti, accanto ad una crescente militanza, prima da parte di gruppi legati ad al-Qaeda e poi dal cosiddetto Stato Islamico. Gli esiti del campo di battaglia nel 2019 sono ancora oggi all’attenzione delle maggiori potenze mondiali, proprio per comprendere il modus con cui ricominciare ad avere relazioni con Damasco e al contempo avere un ruolo nella gestione della geopolitica regionale.

Dalla guerra alla ripresa

La guerra ha ucciso quasi mezzo milione di persone e sfollato metà della popolazione. Dal momento in cui Assad ha ripreso il controllo sul territorio nazionale, i paesi arabi confinanti hanno gradualmente ripristinato le relazioni, come dimostra la decisione di riammettere la Siria nella Lega araba. Anche il Kuwait riaprirà l’ambasciata in Siria dopo tredici anni, a rappresentare un oggettivo tentativo di distensione. Per questa ragione una delegazione kuwaitiana ha recentemente visitato Damasco proprio per stimolare la ripresa delle relazioni diplomatiche. Era presente anche un gruppo di imprenditori kuwaitiani intenzionati ad una cooperazione. In precedenza erano stati gli Emirati Arabi Uniti a nominato un ambasciatore a Damasco per la prima volta dalla chiusura della loro ambasciata nel 2011.

Profondità strategica

“La decisione del governo Meloni di nominare, per la prima volta dal 2012, un capo missione permanente nella capitale siriana segue la postura italiana legata ad una visione globale della politica estera incarnata da Palazzo Chigi, specialmente delle dinamiche che si affacciano sul Mare Nostrum – commenta a Formiche.net il senatore di FdI Roberto Menia, vicepresidente della Commissione Esteri/Difesa del Senato – nella consapevolezza che l’Italia ha tutte le carte in regola per recitare un ruolo primario, a maggior ragione in un contesto caratterizzato da estreme instabilità”.

L’obiettivo, prosegue, è quello di allargare le maglie della cooperazione e della rappresentatività in un’area particolarmente sensibile per le dinamiche euromediterranee: “In primis la decisione italiana, seguita da quella kuwaitiana, rappresenta la conferma della politica estera impostata dal governo tarata sulla profondità strategica, in secondo luogo è la spia di una fase nuova che va necessariamente aperta con Damasco e che altri paesi europei potrebbero imitare. Siamo la prima Nazione del G7 a prendere una decisione del genere, a maggior ragione per la contemporanea presenza del Piano Mattei nel paniere di temi portati avanti da questo governo. Si tratta di uno snodo fondamentale, che darà sostanza alle politiche italiane in quel macro versante geopolitico che va da Gibilterra al Medio Oriente”.

Roma riapre l'ambasciata in Siria. La decisione italiana spiegata da Menia

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