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Quel che da mesi si era intuito è da oggi pressoché ufficiale: dopo le Europee di giugno, Giorgia Meloni e il suo partito voteranno assieme ai socialisti e ai popolari a favore della rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Per la leader di FdI è una rivoluzione culturale.

Quattro anni fa, Giorgia Meloni la mise così: “Fratelli d’Italia è l’unico partito italiano che ha annunciato in modo chiaro il proprio voto contrario alla candidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Non saremo complici di una riedizione dell’era Junker, dell’asse franco-tedesco, dell’Europa imbelle su immigrazione incontrollata e terrorismo, di un’Unione che mira a punire quelle nazioni che non si allineano ai diktat dei burocrati…”.

Cos’è cambiato da allora? Semplice, è cambiato che da leader di opposizione Giorgia Meloni è diventata capo del governo. E che, a differenza di Matteo Salvini, ha capito che non è possibile governare l’Italia opponendosi al governo dell’Europa. Una posizione che, se Meloni riuscirà a tirarsi dietro l’interno gruppo dei Conservatori di cui è presidente, modificherà gli assetti politici dell’Europarlamento, abbandonando in un vicolo cieco i soli colleghi di Identità e democrazia, il gruppo sovranista di estrema destra di cui fa parte il partito di Salvini.

Una posizione che costerà forse a Giorgia Meloni qualche mugugno in Fratelli d’Italia e qualche voto tra gli elettori più inclini alla demagogia, ma che la proietterà nell’orbita dei leader politici considerati legittimi ed affidabili a livello europeo ed internazionale.

Un processo faticoso, per chi come lei viene da dieci anni di opposizione e di antieuropeismo. Dieci anni in cui l’accusa di inciucio con le sinistre è stata lo stigma con cui ha messo fuori gioco storici alleati come Forza Italia. Un percorso appena cominciato e che la presidente del Consiglio sembra intenzionata a compiere con estrema cautela e a tappe. Non è un caso che anche oggi abbia ribadito l’indisponibilità ad “un’alleanza parlamentare con la sinistra” in Europa così come in Italia.

A Bruxelles non si profila, dunque, un’alleanza politica strategica. Si profila quello che nei sistemi parlamentari e nella complessa storia della Prima repubblica italiana è stato chiamato appoggio esterno. Un modo per contare senza sporcarsi più di tanto le mani. Un modo per sondare il terreno in attesa di un ulteriore passo che renda “interno” un sostegno provvisoriamente qualificato come “esterno”.

Cosa c'è dietro l’appoggio esterno di Meloni ad Ursula von der Leyen. Il corsivo di Cangini

Da leader di opposizione Meloni è diventata capo del governo. E ha capito che non è possibile governare l’Italia opponendosi al governo dell’Europa. Una posizione che le costerà forse qualche mugugno in Fratelli d’Italia e qualche voto tra gli elettori più inclini alla demagogia, ma che la proietterà nell’orbita dei leader politici considerati legittimi ed affidabili a livello europeo ed internazionale

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