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Diceva Mino Martinazzoli a metà degli anni Duemila che in Italia la “politica è sempre stata politica delle alleanze”. E cioè, al di là del sistema elettorale che di volta in volta può disciplinare il sistema politico, la costruzione delle alleanze è il postulato essenziale e decisivo per la conservazione e il rafforzamento della qualità della democrazia e per garantire la stessa credibilità delle istituzioni democratiche.

Lo storico esempio resta sempre quello fornito da Alcide de Gasperi quando nel lontano 1948 e dopo la straordinaria affermazione elettorale della Democrazia Cristiana non volle dar vita a un governo monocolore ma ricercò, con tenacia e determinazione, la strada dell’alleanza con altri partiti centristi e laici per il suo esecutivo. Un monito profetico, si potrebbe dire, che ha caratterizzato l’intera storia democratica del nostro Paese. Non a caso, quello della costruzione delle alleanze resta un pilastro decisivo che differenzia i partiti democratici da quelli populisti o da quei partiti che respingono alla radice la cultura delle alleanze per motivazioni alquanto misteriose e anacronistiche.

Detto questo, però, e per tornare all’attualità, non possiamo dimenticare un altro tassello costitutivo della cosiddetta cultura delle alleanze. E cioè, le alleanze – anche secondo la miglior tradizione cattolico democratica e popolare – non sono mai banali cartelli elettorali, pallottolieri inguardabili o semplici ammucchiate di partiti, gruppi e movimenti. Questo perché le alleanze, o le coalizioni, rispondono sempre a ragioni politiche, programmatiche e anche di natura valoriale, cioè culturale. Se, invece e al contrario, il tutto si riduce a una sommatoria di partiti uniti solo ed esclusivamente dall’odio implacabile nei confronti del nemico politico di turno non solo non si può parlare di coalizione ma, addirittura, si tratta di una concezione politica debole, fragile e alquanto approssimativa.

Per entrare nello specifico, il cosiddetto “campo largo” di Elly Schlein o il “campo giusto” del populista Giuseppe Conte rispondono a criteri che esulano radicalmente da una concezione che fa dell’alleanza un progetto politico di media/lunga scadenza e con una spiccata cultura di governo. Al riguardo, quando sei accomunato soltanto dalla volontà di annientare o di criminalizzare, sotto il profilo politico ovviamente, il nemico giurato non è scientificamente possibile costruire un vero e credibile progetto di governo.

Per questi semplici motivi, forse, è arrivato anche il momento di recuperare quella cultura delle alleanze che non solo resta un elemento di straordinaria importanza politica ma che, al contempo, crea le condizioni indispensabili e necessarie per consolidare anche una vera e propria cultura di governo. Certo, non possono essere i partiti populisti o quelli massimalisti ed estremisti i soggetti che si fanno carico di questa sacrosanta domanda democratica. Ecco perché tocca, ancora una volta, ai partiti con una solida e antica cultura democratica saper tradurre questa specificità politica e culturale nella cittadella politica italiana contemporanea.

Il campo largo non è una alleanza politica. L’opinione di Merlo

È arrivato il momento di recuperare la cultura delle alleanze, che crea le condizioni per quella di governo. Ma non possono essere i partiti populisti o massimalisti a farsi carico di questa sacrosanta domanda democratica. Il commento di Giorgio Merlo

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