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Oggi, il destino dell’Europa dipende da come voteranno i greci a un referendum in cui, per di più, numerosi elettori avranno scarsa dimestichezza con i contenuti. Lo scrive efficacemente The Economist: Il Futuro dell’Europa è nelle Mani dei Greci.

Il settimanale britannico, però, ha la memoria corta: già una volta il destino dell’Europa dipese da un referendum, quello del 27 aprile 1969 (ricordo avere seguito i risultati in televisioni a Bruxelles, nel bell’appartamento di Giovanni Livi all’Avenue Louise). Allora il referendum era stato indetto dal presidente dei francesi, Charles De Gaulle, dopo una lunga preparazione, e riguardava l’assetto costituzionale della Francia, ma toccava indirettamente il cuore della costruzione dell’Europa a Sei che già, dopo sei mesi in cui gli organi deliberanti non potevano decidere nulla, era stata costretta a inchinarsi alla politica agricola comune come richiesta da Parigi (e posta in gran misura a carico del resto d’Europa). Allora uno dei “padri fondatori” (e dei maggiori Paesi) dell’Europa ancora in culla se ne sarebbe andato.

Oggi, a mettere in crisi l’Unione Europea (UE), è un Paese che rappresenta il 2% del Pil dell’UE e ne esporta appena il 12%, ha una popolazione che sfiora quella della Lombardia (o dell’Assia), è privo di risorse naturali, ha una produttività inferiore a quella dell’Italia, del Portogallo e della Spagna, è stato “salvato” già ben due volte dai contribuenti del resto dell’UE, ha una burocrazia ritenuta pessima e una leadership politica che negli ultimi cinque mesi ha dato l’impressione di essere piuttosto impreparata e un po’ maldestra.

Quanti ricordano Il ruggito del topo (The Mouse That Roared), un film commedia del 1959 diretto da Jack Arnold, con Peter Sellers impegnato in tre ruoli, compreso uno femminile? Allora venne considerato una satira della guerra fredda. Un piccolo Paese (diciamo Andorra o San Marino) dichiara guerra agli Stati Uniti nella speranza di perderla e di essere “beneficiato” dal Piano Marshall. Gli americani, ovviamente, non prendono la dichiarazione sul serio. Il Paese con un’armata di venti uomini sbarca negli USA proprio nel giorno in cui è in corso una esercitazione anti-atomica e tutta la popolazione è in rifugio. Senza sapere di che si tratta i venti si impadroniscono della bomba. E gli Stati Uniti, nel timore di una deflagrazione atomica (a cui risponderebbe Mosca) offrono la “resa incondizionata” per riottenerla, Oppure Gulliver’s Troubles del politologo Stanley Hoffmann: 600 pagine in cui nel 1968 si spiegava perché il gigante Gulliver avrebbe perso la guerra contro i lillipuziani del Viet-Nam (come avvenne il 30 aprile 1975)?

In effetti, quale sarà l’esito del referendum greco, l’attuale dell’UE ha già perso come mostra il rapporto dei cinque presidenti (Jean-Claude Juncker, Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi, Martin Schulz), un documento velleitario e privo di spessore definito “ingannevole, fuorviante ed irritante” da un europeista di lungo corso come Fabrizio Saccomanni.

Ha dimostrato di essersi mossa tardi e male per curare i mali delle Grecia (che non ha mai avuto le carte per fare parte dell’eurozona ed anche il suo ingresso nell’EU nel 1980 è stato basato unicamente su motivazioni puramente politiche). Esplosa la crisi ha dato prova di curarsi più di come salvare le proprie banche creditrici della Repubblica Ellenica. Esplosa una nuova crisi si è fatta infinocchiare dai rappresentanti del Governo di Atene.

In breve, è stata inadeguata nel perseguire il sogno di Spinelli, De Gasperi, Schumann, Adenauer e tanti altri. Ha mostrato di essere un esempio, iperpagato, di quella “mediocrazia” analizzata da anni da Andrea Mattozzi (Caltech) and Antonio Merlo (University of Pennsylvania).

Molti europei pensano, a torto a ragione, che oggi il futuro dell’Europa è meglio assicurato dai greci (che se molti voteranno senza conoscere i quesiti referendari) che dalla “mediocrazia” del gruppo dirigente europeo.

Ecco le vere partite del voto in Grecia

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