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Per quanto proveniente da una famiglia di tradizione e militanza scudocrociata, contestatagli una volta da Silvio Berlusconi in un alterco mai più sanato, Raffaele Fitto ha avuto in comune, sino a qualche mese fa, con un democristiano storico come Aldo Moro solo la località pugliese di nascita: Maglie, in provincia di Lecce. Dove Moro è curiosamente ricordato con una statua che, pur commissionata dal suo stesso partito per onorarne la memoria, ne tradisce la storia, con quella copia bronzea de l’Unità sporgente da una tasca.

Ora, del povero Moro tutto si può francamente dire o contestare, anche le aperture obbligate a un Pci che dopo le elezioni politiche del 1976 era in grado di paralizzare la Dc, visto il rifiuto dei socialisti di tornare al governo con lo scudo crociato senza l’appoggio dei comunisti, ma non che si preoccupasse la mattina di uscire di casa con l’Unità in tasca. E magari di farsi un giro delle edicole per ispezionare, anzi promuovere esposizione e vendite del giornale comunista. Via, siamo seri.

Quella statua, in verità, per quanto involontariamente precorritrice della confluenza di tanti post-comunisti e post-democristiani in un solo partito per la confusione seguita al crollo della cosiddetta prima Repubblica e per la crisi anche della seconda, meriterebbe di essere semplicemente rimossa, o quanto meno rifatta. Ma nessuno ne avrà naturalmente la voglia, o il coraggio. Magari, in questo scorcio di campagna elettorale in Puglia a Matteo Renzi verrà anche la voglia di andarvi a depositare una corona di fiori per propiziare la pur scontata vittoria del suo candidato, Michele Emiliano, alla presidenza della Regione.

Proprio da quando ebbe, l’anno scorso, l’alterco sulle origini democristiane della sua famiglia con Berlusconi, che peraltro si era tante volte vantato di avere da ragazzo partecipato orgogliosamente alle affissioni milanesi dei manifesti della Dc nella campagna elettorale del 1948, Fitto cominciò a dividere con Moro qualcosa in più del Comune di origine. Ne adottò, consapevolmente o no, anche la convinzione che in un partito si dovesse ogni tanto “scomporre per ricomporre”, come diceva testualmente il leader democristiano. Solo che Moro, oltre a scomporre le correnti della Dc, sapeva appunto ricomporle in altro modo e portarle a nuovi equilibri, non compromettendo mai l’unità del partito. Fitto invece ha per ora programmato con la sua associazione “Conservatori e riformisti” solo un’ulteriore scissione, e forse neppure l’ultima, di Forza Italia.

L’associazione di Fitto è stata liquidata dal capogruppo berlusconiano al Senato, Paolo Romani, come un ossimoro. Ma come accostamento di parole e concetti di segno opposto non è sicuramente il primo nella storia della Repubblica. Il più celebre e storico degli ossimori della politica italiana è attribuito proprio a Moro. Che come segretario della Dc teorizzò e praticò, in vista di un accordo organico con i socialisti per il cosiddetto centrosinistra, una maggioranza transitoria di “convergenze parallele” fra i due partiti. Gli fu subito contestata l’impossibilità fisica della convergenza fra due rette parallele. Eppure alla fine l’intesa con i socialisti fu raggiunta davvero.

Anche la combinazione fittiana di conservatori e riformisti potrebbe essere ricondotta all’esperienza politica di Moro. Che fu sicuramente un riformatore alla guida dei governi di centrosinistra, ma senza rinunciare a conservare quello che riteneva giusto mantenere. Non dimenticherò mai il giorno in cui il suo storico portavoce Corrado Guerzoni mi raccontò dell’abitudine di Moro a Palazzo Chigi di mandare gli auguri di Natale e Capodanno ai suoi colleghi d’insegnamento all’Università predisponendo i biglietti in tre scatole, secondo i gradi e le funzioni dei destinatari.

Sempre lui, Moro, davanti alla Chiesa di Santa Chiara, a Roma, raccolse una volta l’accorato sfogo di un giornalista democristiano, Normanno Messina, nonno dell’attuale e graziosa ministra della Pubblica Amministrazione Marianna Madia, contro “la mania di cambiare tutto” e l’altrettanto accorato invito a resistervi. “Ma con garbo”, lui l’interruppe: il garbo, appunto, del conservatore e insieme riformista.

Ma ora Fitto non si monti la testa, per questo, con la sua associazione e quel che potrà o dovrà seguirne. Se saprà solo scomporre e non anche ricomporre, come invece riuscì a fare Moro sino all’epilogo drammatico della sua avventura politica e umana, la sua sarà solo una fatica sprecata. Alla quale peraltro sono in tanti ad essersi candidati, compreso Berlusconi.

Le nuove convergenze parallele alla Raffaele Fitto

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