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L’affaire pensioni è diventato il tema del talk show populisti che impazzano su tutte le reti televisive. Per anni gli ineffabili conduttori hanno messo alla gogna chiunque percepisse una pensione più che dignitosa, indicandolo come un ‘’profittatore di regime’’ agli sfaccendati che recitano la parte del pubblico ed esercitano la funzione dei cittadini indignati.

Dopo il decreto del governo in applicazione della discutibile sentenza n. 70 della Corte Costituzionale, tutti si sono messi a difendere i pensionati benestanti, gli stessi a cui, un giorno sì ed uno no, vorrebbero dimezzare l’assegno in nome di chissà quale principio di equità.

Eppure non ci vorrebbe molto a rendersi conto delle dimensioni del problema. In Italia i pensionati sono 16,5 milioni. Colpiti dal taglio della perequazione nel 2011 sono stati più o meno 5 milioni (neanche un terzo). L’una tantum, il primo agosto, sarà erogata a 3,7 milioni secondo le stime del governo, allargando il perimetro della salvaguardia fino ai percettori di 3,2mila euro mensili lordi.

Dove è la ‘’macelleria sociale’’?

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La Commissione europea ha tirato un sospiro di sollievo all’annuncio del decreto salva/sentenza, ma nel giro di qualche ora è tornata a preoccuparsi, quando il giovane caudillo ha dichiarato che il governo ha intenzione di manomettere, nella prossima legge di stabilità, la riforma Fornero nel delicato e cruciale aspetto dell’età pensionabile, introducendo dei meccanismi di flessibilità che consentano di anticipare la quiescenza, magari sopportando un modesto disincentivo.

Non è casuale che le autorità europee siano tanto attente alla stabilità dei sistemi pensionistici, al punto da ritenere credibili le politiche di risanamento finanziario degli Stati membri, nella misura in cui esse affrontano il nodo delle pensioni. Il Vecchio Continente sta per essere investito da un ciclone sul piano demografico che renderà insostenibili ed iniqui (per quanto riguarda i rapporti tra le generazioni) anche i modelli pensionistici più rigorosi.

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Paradossalmente, l’Italia si presenterà al redde rationem, alla metà del secolo, in situazioni migliori di quelle degli altri Paesi: tra il 2010 ed il 2060 nell’area euro il rapporto tra spesa pensionistica e Pil peggiorerà di 2 punti percentuali (di 1,5 per la UE27), mentre per l’Italia migliorerà dello 0,9%.

Ma questa è una consolazione da poco perché, partendo dal livello più elevato, per quanto riguarda la media sia della UE27 sia dell’Eurozona, nel 2060 l’incidenza della spesa pensionistica italiana sarà superiore di un punto di Pil rispetto al primo dato medio e sostanzialmente allineata con il secondo. Tutto ciò, se non verrà ulteriormente logorata la precaria stabilità del sistema dovuta alle riforme.

Proprio in questi giorni è stato ricordato che, da noi, l’incidenza della spesa per le pensioni è pari al 16,5% del Pil. Nessuno ha aggiunto che, senza la riforma Fornero, saremmo al 18,3%. Perché non lo fa il ministro Poletti?

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