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Il crescente attivismo russo in Siria, la contro strategia degli Usa, la lotta non sempre riuscita ai drappi neri dell’Isis, le fazioni che si contendono il Paese e il futuro sempre più in bilico del dittatore Bashar al-Assad.

Ecco alcuni dei temi analizzati in una conversazione di Formiche.net con Giampiero Gramaglia, vice direttore di LaPresse, consigliere per la comunicazione dell’Istituto Affari Internazionali e firma di esteri per il Fatto Quotidiano.

Che cosa succede ora in Siria?

La risposta più onesta sarebbe “E che ne so?, e chi lo sa?”. Una risposta per ammantare l’onestà d’un qualche alone d’informazione e di competenza è “In quale Siria?”. C’è la fetta di territorio lungo in confine turco più o meno controllata dai curdi; c’è un cuneo di territorio dove prevarrebbe al Nusra, l’opposizione integralista al presidente Bashar al-Assad; c’è tutto il sud inclusa Palmira e ben oltre nelle mani del Califfato; c’è Aleppo contesa; ci sono la costa e le città di Damasco e Homs ancora sotto l’autorità del regime e dei ‘lealisti’, pur con qualche ‘buco’.

Non è cambiato nulla con l’ingresso di Ankara e l’attivismo russo?

Apparentemente, i fatti nuovi militari recenti, in ordine di tempo l’entrata in azione della Turchia nei raid contro le milizie jihadiste, l’intervento con droni della Gran Bretagna e il coinvolgimento nei raid della Francia, la conferma di una significativa presenza militare russa non hanno modificato la situazione in modo significativo. Anche perché Ankara cerca d’acquisire in Siria la patente d’anti-terrorismo per picchiare in testa ai curdi in casa, Londra e Parigi vogliono solo fare vedere che fanno qualcosa per i siriani (mentre Berlino accoglie i rifugiati) e Mosca bada più a tutelare al-Assad che a combattere il Califfo.

Come si stanno muovendo gli Stati Uniti?

Fra i nemici dichiarati del presidente al-Assad, gli Stati Uniti avrebbero, sotto sotto, il desiderio di disinteressarsi di quel che avviene tra Iraq e Siria, se non fosse che un bel po’ di questi guai derivano dall’invasione del 2003 e dall’abbattimento ‘al buio’ di Saddam Hussein, esercizio poi ripetuto in Libia. E, poi, il Califfato bisogna pur combatterlo, da lontano, chirurgicamente, con droni e raid aerei, mentre quelli, chirurgicamente, sgozzano ostaggi e oppositori. Qui, l’America non ha più interessi economici strategici, ma la Super-Potenza non può esimersi dal guidare la coalizione che soppone alle milizie jihadiste e che lei stessa ha promosso.

Che effetto avrà la mossa russa di aumentare la propria presenza nel Paese? E perché c’è tanta distanza con gli Usa?

Siamo proprio sicuri che ci sia tanta distanza? Se fossero davvero furibondi, o se fossero stati davvero spiazzati, gli Stati Uniti avrebbero, a mio avviso, reagito con ben altra foga: i russi in Siria sono un problema per il Califfo più che per Obama, Che faranno ora Washington e gli altri? Magari, intensificheranno i raid, che se no pare che ci siano solo i russi. Ma tutti sanno – spero – che prima o poi dovranno negoziare sul futuro assetto siriano, con i siriani e fra di loro.

Quali sono interessi e auspici degli altri maggiori Paesi che intervengono oggi sul terreno siriano?

Ciascuno ha la sua agenda. Regno Unito e Francia, le ex potenze coloniali della Regione, non son ancora del tutto rassegnate alla perdita dei loro ‘protettorati’, anche perché qui hanno ancora influenze ed interessi. Certo che farli valere con droni e bombe non è diplomaticamente molto raffinato, a rischio per di più di fare un favore ad al-Assad, ché, se picchi in testa al Califfo, lui è ben contento. Il resto d’Europa li aiuta poco: predica diplomazia e soluzioni di transizione senza, o magari con, al-Assad; ma è più preoccupata dei siriani che le si riversano in casa che di quelli che restano a casa.

Ci sono poi le petromonarchie del Golfo, accusate da alcuni analisti di eccessiva ambiguità.

Il re saudita e gli emiri tutt’intorno, sunniti doc, non hanno certo simpatia per il regime di Damasco, alauita e, quindi, sciita. Ma ne hanno ancora meno per il Califfo e i suoi sgherri, che saranno pure sunniti, ma che costituiscono una minaccia per il loro potere. Eccoli, allora, prestare aerei alla coalizione, senza però rinunciare a combattere gli sciiti in Yemen, non potendolo fare apertamente tra Iraq e Siria, ché se non fai un favore al Califfo, e ancor meno in Iran, ora che è stato ‘sdoganato’ con la loro benedizione a denti stretti.

Allora chi sostiene davvero Assad? E perché?

Fra i Grandi del Mondo e della Regione, la Russia e l’Iran di sicuro, Qui, Putin si gioca molto: interessi politici e militari, economici ed energetici. In ballo, c’è dall’inizio della guerra civile, sempre a tutela di al-Assad. Ma, nel luglio del 2013, tolse pure le castagne dal fuoco a Obama che s’era cacciato in un ginepraio per le armi chimiche; adesso combatte il Califfo, e pure gli integralisti di al-Nusra, puntellando il regime, senza in fondo troppo dispiacere agli americani.

Qual è il ruolo dell’Iran?

Quanto agli iraniani, freschi di riammissione nel salotto buono della diplomazia internazionale, dopo l’accordo sul nucleare, possono fare apertamente da spalla ad al-Assad, cui hanno sempre prestato l’appoggio degli Hezbollah. Anche loro, però, servono a contenere il Califfo, qui e forse ancora di più in Iraq, dove, senza il generale Soleimani e i suoi Pasdaran, gli jihadisti sarebbero forse già arrivati a Baghdad.

E Israele?

Non che gli importi molto della fine di al-Assad, ma fin quando i suoi nemici se le danno di santa ragione fra di loro, lui può limitarsi a guardarli dall’alto delle alture del Golan mai così saldamente sue come oggi. E la Siria è senz’altro una palestra per le reclute del Mossad, come di qualsiasi intelligence.

Ma Russia e Iran, davanti alla possibilità concreta di un regime change concordato, potrebbero abbandonare il dittatore siriano?

Che Putin e Khamenei siano pronti a ‘morire per Damasco’, ne dubito fortemente: loro vedono al-Assad nel futuro della Siria, ma non dicono per quanto e neppure in che ruolo. Ma se anche solo gli evitano la fine di Muammar Gheddafi è già qualcosa di positivo.

Perché i russi in Siria non sono un vero problema per gli Usa. Parla Gramaglia

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