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È incostituzionale la norma che blocca l’adeguamento all’inflazione delle pensioni lorde di importo superiore a tre volte il minimo Inps (pari a 1.405,05 euro) nel biennio 2012-2013. Lo ha stabilito venerdì scorso la Corte Costituzionale che ha così bocciato la «legge Fornero» (comma 25 dell’articolo 24 del decreto legge n.201 del 2011).

LA SENTENZA

Nella sentenza n. 70 della Consulta, di cui è relatore il giudice Silvana Sciarra, si evidenzia che «l’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata». «Tale diritto costituzionalmente fondato – precisano i giudici – risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio». Quindi la necessità di fare quadrare i conti dello Stato non può calpestare i diritti fondamentali.

IL RICORSO

A sollevare la questione di legittimità erano stati tra il 2013 e il 2014 il Tribunale di Palermo e la Corte dei Conti per l’Emilia-Romagna e la Liguria. Avevano fatto ricordo anche le associazioni Federmanager e Manageritalia.

LE PAROLE DELLA CORTE

Secondo la Consulta, le motivazioni indicate alla base del decreto sono blande e generiche, mentre l’esito che si produce per i pensionati è pesante. In particolare il blocco della perequazione, secondo la Corte, «induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore». Per questi motivi «risultano intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale fondati su inequivocabili parametri costituzionali – precisa la sentenza – come la proporzionalità del trattamento di quiescenza (art. 36 Costituzione) e l’adeguatezza (art. 38)». Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del «principio di solidarietà (art. 2)» e al contempo attuazione del «principio di eguaglianza (art. 3)».

LE PREVISIONI SUL BUCO

Quanto peserà sui conti dello Stato la sentenza della Consulta che ha bocciato il blocco della perequazione per le pensioni superiori a tre volte il minimo negli anni 2012-2013? Di sicuro l’ipotesi che il «tesoretto» da 1,6 miliardi, che il premier vuole distribuire ai meno abbienti, sfumi, si fa concreto. Secondo i dati Istat, il blocco ha toccato circa sei milioni di persone con una pensione superiore ai 1.443 euro mensili lordi. La quota maggiore è costituita da pensionati tra i 1.500 e i 1.999 euro (17,4% del totale) e tra 2 mila e 3 mila euro (13,7%).

LE STIME SULL’IMPATTO

Secondo l’Avvocatura dello Stato, in ballo ci sono circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 per il 2013. Ma non basta. Nel 2014 il mancato adeguamento all’inflazione è stato modificato finendo per gravare sulle pensioni pari a sei volte il minimo (2.973 euro). L’adeguamento dunque è stato riconosciuto per intero (100% del tasso d’inflazione) sull’importo di pensione sino al triplo del minimo, al 90% per la fascia tra il triplo e il quintuplo del minimo e al 75% per la fascia eccedente cinque volte il minimo.

LE CRITICHE DI MORANDO IL COMMENTO DEL CORRIERE

Il viceministro dell’Economia, Enrico Morando (Pd), ha segnalato che nella sentenza non c’è «un bilanciamento con l’articolo 81 della Costituzione» sull’obbligo del pareggio di bilancio. Commenta Antonella Baccaro del Corriere della Sera: “La Corte, due mesi fa, pronunciandosi sull’illegittimità della Robin Tax sancì la non retroattività della sentenza, qui, invece, «l’onere si scarica sui conti pubblici»”.

Pensioni Inps, ecco tutti gli effetti della sentenza della Corte costituzionale

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