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Mentre il Parlamento di Atene dice “sì” al piano di riforme concordato con Bruxelles e negozia un nuovo prestito ponte da 7 miliardi di euro per far fronte alle spese più immediate, la posizione del Fondo Monetario internazionale sulla crisi greca evolve.

LA POSIZIONE DEL FMI

Forse, notano alcuni analisti, non è corretto sostenere – come hanno fatto molti siti in queste ore – che l’istituzione guidata da Christine Lagarde dica “no” tout court ad un terzo salvataggio della Grecia. Il quadro è senz’altro più complesso. Se si guarda ai fatti, da un lato il Fmi ha indicato finora per Atene gli stessi rigidi obiettivi di avanzo primario proposti dall’Eurogruppo. Dall’altro, invece, continua a invocare ragionevolezza, con soluzioni meno austere di quelle auspicate da Berlino. Utopica per il momento la creazione degli Eurobond, cioè “titoli di stato europei, che spalmerebbero il debito dei singoli stati su tutta l’Area euro. Una ricetta – ha ricordato ieri Antonio Signorini su Formiche.net – “proposta cinque anni fa dall’Italia e da Jean Claude Juncker (nella veste di presidente dell’Eurogruppo), bocciata da Angela Merkel“.

L’HAIRCUT CHE SERVE

L’alternativa, proposta dalla Lagarde in un report interno portato al tavolo del negoziato, ma emerso pubblicamente solo nelle scorse ore grazie al Financial Times, è la proposta di un taglio del debito ellenico, giudicato “insostenibile”. Se ciò non accadesse, il Fmi prenderebbe in considerazione di rifiutare il proprio sostegno al piano per Atene.
Nella prima crisi greca, Berlino si oppose all’ipotesi di una riduzione degli oneri greci, perché avrebbe impattato soprattutto sulle banche tedesche che avrebbero dovuto subire il maggior impatto dell’haircut. E ancora, ad oggi, le uniche aperture concesse informalmente da Berlino riguardano non tanto una riduzione secca – osteggiata dalla Merkel e da Wolfgang Schaeuble vietata dai trattati – quanto una “riprofilazione” del debito, ovvero un allungamento delle scadenze per i rimborsi. Un’eventualità ancora peggiore per Atene, sostengono alcuni, ma il quadro non è statico e i negoziati proseguono.

LE RAGIONI DEL NO

La richiesta del Fmi di un taglio del debito greco rappresenta una posizione tecnica, perché le norme dell’istituzione le vietano di prendere parte a salvataggi di Stati con un debito ritenuto insostenibile e senza alcuna possibilità di tornare sul mercato. Ma anche e forse soprattutto politica, perché la necessità di una seria sforbiciata al fardello ellenico è caldeggiata prevalentemente da Washington, che teme l’allontanamento dall’orbita occidentale di un altro membro della Nato, dopo la Turchia.

I NODI GEOPOLITICI

Non a caso, da qualche giorno – rammenta Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera di oggi – il Fmi “ha cambiato marcia e atteggiamento sul dossier greco. La stessa Lagarde ha attenuato le richieste ultimative al governo di Alexis Tsipras. Dietro questa trasformazione si vede nitidamente la mano degli Stati Uniti, il maggiore azionista dell’Istituto. Il ministro del Tesoro americano, Jack Lew, ormai da mesi, chiede agli europei di ridurre il peso del debito. Lo farà direttamente oggi, incontrando prima il presidente della Bce, Mario Draghi e poi il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, la personificazione del «no» al condono finanziario”.

LA POSIZIONE DI DRAGHI

A margine dello scambio di opinioni con Lew, il numero di uno di Francoforte ha lasciato intendere una maggiore vicinanza alle posizione del Fmi, scegliendo di non commentare le affermazioni del ministro delle Finanze tedesco, tornato a definire la Grexit “una buona idea” e “forse la via migliore per la Grecia”.

 

Ecco le trame geopolitiche del Fondo monetario sulla Grecia

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