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Le proposte riguardanti il c.d. pensionamento flessibile, all’esame della Camera, sono, di certo, , ma non si misurano con gli oneri che si renderebbero necessari. Nei fatti, tale impostazione finirebbe per abbassare i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla riforma Fornero, determinando, quindi, effetti economici negativi, stimabili a regime in almeno una decina di miliardi.

Non va dimenticato, infatti, che secondo le regole della contabilità, non ci si potrebbe avvalere, come copertura, dello storno di risparmi acquisiti, ma occorrerebbe stanziare risorse nuove, non compatibili con il quadro di finanza pubblica del Paese. La sostanza del problema, tuttavia, è un’altra. Si dimostra, ancora una volta che i progetti di revisione del sistema pensionistico sono destinati, in pratica, a difendere i lavoratori anziani di oggi, non i giovani che saranno pensionati domani.

Quale è infatti la preoccupazione di questi ultimi? Non tanto quella di vedersi applicare il calcolo contributivo, perché il nuovo sistema (ci avvaliamo di termini strettamente giuridici) non produce, a fronte di una continuità e regolarità di lavoro, un “danno emergente”, ma solo un in quanto vengono meno le rendite di posizione dipendenti dal modello retributivo. Se un giovane ha la fortuna di lavorare a lungo e senza interruzioni andrà in pensione con un tasso di sostituzione socialmente sostenibile anche sottoponendosi al calcolo contributivo. L’incerta prospettiva pensionistica dei giovani non deriva, dunque, dalle regole dell’accreditamento dei contributi e dal meccanismo di calcolo della prestazione (il sistema contributivo non presenta solo degli svantaggi), ma dalla loro condizione occupazionale precaria durante la vita lavorativa.

Una carriera contraddistinta da un accesso tardivo al lavoro, da rapporti interrotti e discontinui (senza potersi giovare, inoltre, di un adeguato sistema di ammortizzatori sociali che cucia tra di loro i differenti periodi lavorativi, magari contraddistinti da rapporti regolati da regimi differenti) finirà per influire negativamente anche sulla pensione. Occorre mettere in sinergia le politiche a favore dell’occupazione dei giovani con un riordino del sistema pensionistico che abbia lo sguardo rivolto in avanti e cioè ad un modello che sia in grado di tutelare, al momento della quiescenza, non solo il lavoro di ieri, ma quello di oggi e di domani in tutte le sue peculiarità e differenze rispetto al passato.

I capisaldi di questa proposta potrebbero essere i seguenti: 1) le nuove regole dovrebbero valere solo per i nuovi occupati (quindi per i giovani); 2) i versamenti sarebbero effettuati sulla base d un’aliquota uguale – e pari al 25-26 % – per dipendenti, autonomi e parasubordinati (si può valutare una certa gradualità nell’operazione) dando luogo ad una pensione obbligatoria di natura contributiva; 3) sarebbe istituita per questi lavoratori un trattamento di base, ragguagliato all’importo dell’assegno sociale e finanziato dalla fiscalità generale che faccia da zoccolo della pensione contributiva o svolga una funzione assistenziale a favore di chi non ha potuto assicurarsi un trattamento pensionistico; 4) per quanto riguarda il finanziamento della pensione complementare sarebbero consentiti l’opting out (ovvero la possibilità di scorporare ed utilizzare diversamente in modo volontario con il relativo versamento del corrispettivo in una forma di previdenza complementare) di alcuni punti di aliquota contributiva obbligatoria, nei termini e con le cautele ipotizzate dalla riforma Fornero del 2011.

Tale proposta (contenuta in un disegno di legge che nella passata legislatura io presentai alla Camera – AC 2671 – mentre Tiziano Treu lo fece al Senato) andrebbe attentamente approfondita soprattutto sul piano dei costi. Essa realizzerebbe una convenienza ad effettuare nuove assunzioni grazie alla previsione di un’aliquota contributiva più ridotta (e quindi grazie alla diminuzione del costo del lavoro). Inoltre, questa potrebbe divenire la soluzione a regime, quando verranno meno le condizioni per confermare la decontribuzione prevista dal jobs act Poletti 2.0. nel caso di assunzioni con il contratto a tutele crescenti. La pensione di base compenserebbe i minori accreditamenti secondo il modello contributivo.

La riforma, nel suo complesso, riguarderebbe circa 400-500mila unità all’anno (la nuova occupazione, sempre che riparta l’economia, assunta con il contratto di nuovo conio). E, quindi, pur richiedendo una copertura finanziaria, presenterebbe un grado di sostenibilità ben superiore rispetto a quella derivante dai progetti all’esame del Parlamento.

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Le mie idee sulle pensioni

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