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Il Tesoro scende in Enel. Ulteriori vendite di quote statali in Eni in cantiere. E l’ingresso della Cina in Snam e Terna. Ecco i capitoli di una conversazione di Formiche.net con Davide Tabarelli, presidente e fondatore di NE-Nomisma Energia, società di ricerca sull’energia e l’ambiente, e professore a contratto presso la Facoltà di Ingegneria e di Scienze Politiche di Bologna e del Politecnico di Milano.

Prof, come valuta la vendita di una ulteriore parte di quote del Tesoro al mercato? 

Premesso che si sapeva, che era inevitabile visto i conti del paese, rimane un po’ di amaro in bocca. Ci sono voluti anni di dibattiti parlamentari per fare la nazionalizzazione del 1962 e la riforma del 1999. Le decisioni importanti vengono prese in via 20 settembre, lontano dal Parlamento. Noi esperti, o supposti tali, passiamo mesi, anni, a guardare tariffe di regolazione o ci accapigliamo sul tutelato o sul libero, poi i finanziari decidono le cose importanti.

Ma che cosa cambia se lo Stato ha meno del 30 per cento del capitale di Enel?

La società è più scalabile, ma tanto chi se la prende? In Italia non si fanno più margini da anni e l’Enel si deve inventare nuove attività quali reti intelligenti, rinnovabili e risparmio in un mercato che è asfittico per la crisi economica. Ma i margini si fanno con altre cose, con la generazione, la distribuzione e la vendita. In Italia solo la seconda fa guadagnare.

Non si può però tornare al passato. La strada seguita per Enel è identica a quella di altri campioni nazionali come Eni e Finmeccanica.

Sì, è inevitabile. Intanto lo stato nell’ENI non è sceso sotto il 30%, ma ci sta pensando. ENI fa molti più soldi ed è più solida e pertanto più appetibile, avesse meno incagli in Italia.

Ma quali timori reali a livello nazionale ed energetico scorge?

Non ho paura che stranieri prendano il controllo del nostro sistema elettrico. Il problema è il disinteresse sul fare politica industriale nell’energia. La minore presenza dello Stato accentua questo. Il vero problema è il silenzio in Italia circa la necessità di fare ripartire i consumi elettrici dell’industria, anche con costi più bassi che non potremmo mai raggiungere se Enel fa le rivoluzioni sulle rinnovabili.

Per non parlare che è dubbio il saldo positivo complessivo economico di queste operazioni visto che si riducono per il Tesoro i dividendi.

Lo stato deve essere interessato a fare ripartire il PIL, a cui sono legate le entrate da IVA e IRPEF, altro che dividendi. E poi c’è l’occupazione.

Prof, ma non è più preoccupante avere come socio estero la Cina attraverso State Grid con il 35 per cento di Cdp Reti che ha le quote di controllo di SNAM e Terna rispetto alla discesa del Tesoro nel capitale di Enel?

Vero. Terna e Snam, ma soprattutto Terna, sono il sistema nervoso del paese. La cessione è avvenuta mettendo dei paletti ben chiari ai cinesi. Tuttavia rimane il fatto che per far cassa, per mettere delle toppe al problema del debito, continuiamo a cedere pezzi che dovrebbero essere strategici per il paese. Avessimo meno problemi con il debito, nessun governo l’avrebbe mai fatto. Per questo occorre far partire il PIL, anche con prezzi stracciati dell’elettricità alle nostre industrie; ma questa è politica industriale e chi se ne occupa?

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