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Se è vero che la guerra è lo specchio della società, dei suoi mutamenti e delle sue evoluzioni, è altrettanto vero che la superiorità militare oggi ha prevaricato i domini tradizionali, puntando dritto al campo di battaglia più primordiale possibile, lo stesso su cui si sfidavano, a colpi di comizi, i sofisti greci: la mente.

Con una tesi netta, documentata e strategicamente rilevante, Jorge Conde e Andrew Whiskeyman, sostengono nel loro studio “The Emergence of Cognitive Intelligence (Cogint) as a New Military Intelligence Collection Discipline”, che sia giunto il momento di riconoscere la Cognitive Intelligence (Cogint) come una disciplina autonoma della raccolta informativa. La mente, affermano i due ricercatori sulle pagine dell’International Journal of Intelligence and CounterIntelligence, è un dominio operativo nascente, divenuto la posta reale della guerra contemporanea.

Conde, ricercatore in Cognitive Warfare Science, e Whiskeyman, ex Chair del Cyber Strategy Department al National Defense University, parlano senza metafore: il cognitive battlespace è già qui. Mentre Humint, Sigint, Imingt e le altre discipline classiche restano legate alla superficie del comportamento osservabile, la vita digitale degli individui produce in maniera continua una traccia informativa che riflette preferenze, percezioni, vulnerabilità emotive. Questo è un archivio immenso e in gran parte non presidiato dall’Occidente. Da qui, per i due studiosi, nasce il pericolo e allo stesso tempo l’urgenza.

Urgenza e necessità

Per comprendere la portata della svolta, il report ricorda che già negli anni ’50 la Cia parlava di “Battle for Men’s Minds”. Ma quello che allora era intuito oggi è diventato realtà operativa. L’esplosione dei dati personali e dei dispositivi intelligenti ha aperto una finestra senza precedenti sulla sfera cognitiva di intere popolazioni. La profilazione automatica tramite intelligenza artificiale permette di anticipare scelte, prevedere reazioni, sfruttare i bias cognitivi. È questo il punto: la guerra futura non mira più soltanto a colpire capacità materiali, bensì a plasmare la volontà.

Il paper spiega come l’emergere della Cognitive Intelligence sia “la naturale evoluzione della raccolta informativa nel passaggio alla Guerra di Quinta Generazione”, dove a dominare è la dimensione non cinetica, ma quella che deformando la percezione del reale riesce a modificare i comportamenti collettivi. L’avversario ideale non sa di essere stato colpito. Crede di pensare autonomamente. Invece reagisce entro un “ecosistema percettivo” costruito da altri.

La Cina, secondo Conde e Whiskeyman, ha già trasformato questo approccio nella dottrina delle Cognitive Domain Operations. I riferimenti nell’articolo ai cyber attacchi e alla raccolta massiva di dati personali sono inequivocabili. Il caso Salt Typhoon, descritto dai due autori, rappresenta un ulteriore salto di scala. Intelligence mirata non a specifici bersagli ma ad acquisizione di informazioni cognitive su intere nazioni, così da consentire monitoraggio, profilazione e influenza strategica della popolazione. In pochissime parole: un’arma di ingegneria sociale.

Nel quadro tratteggiato dallo studio pubblicato sull’International Journal of Intelligence and CounterIntelligence, piattaforme consumer come TikTok o modelli generativi come DeepSeek rappresentano poi strumenti doppi. Acquisiscono dati comportamentali ad altissima granularità; diffondono contenuti ottimizzati per incidere su emozioni e decisioni. Chi controlla questi ecosistemi digitali controlla le micromolle del giudizio umano. Qui la Cogint si distingue dalle discipline tradizionali, entrando nel cuore dei meccanismi mentali che regolano la percezione del vero e del falso. Il paper firmato da Conde e Whiskeyman definisce questo potenziale come “operational exploitation of decision-making architectures”.

Questo significherebbe mappare l’architettura mentale e poi usare la sua stessa logica per spingere verso una direzione desiderata. Quando avviene senza che il bersaglio se ne accorga, l’efficacia è assoluta. Una persona può diventare un vettore cognitivo inconsapevole, amplificando a catena la narrativa introdotta dall’avversario. È un modello di contagio psicologico, dove l’opinione non è più influenzata ma ingegnerizzata.

Non è un concetto astratto. Il paper scientifico pubblicato da Taylor & Francis descrive con rigore le capacità tecniche disponibili: sensori biometrici, telemetria emotiva, machine learning predittivo, fino alle forme più avanzate come la Stealth Autonomous Brain Reconnaissance Hacking, cioè l’intercettazione e la manipolazione del pensiero a livello subconscio attraverso sistemi autonomi. È un quadro che obbliga l’intelligence occidentale a una presa di posizione chiara. Il ritardo, avvertono i due autori, rischia di tradursi in una asimmetria irreversibile.

Di fronte a questa sfida, Conde e Whiskeyman indicano due esigenze immediate. La prima, urgente, è quella di proteggere la sovranità cognitiva delle democrazie. L’informazione personale è già un’infrastruttura critica. Senza tutele solide, i cittadini diventano “obiettivi cognitivi” vulnerabili. La seconda, necessaria, è quella di riconoscere la Cogint come ottava disciplina formale della raccolta intelligence, creando così una filiera di expertise che integri neuroscienze, psicologia comportamentale e tecnologie di data fusion in un’unica architettura operativa. Serve un corpo professionale addestrato a guardare “dentro” la decisione, non solo attorno ad essa.

Una riflessione doverosa

La sicurezza cognitiva non può tramutare in un paradosso autoritario. Il difficile equilibrio tra la difesa delle libertà e le limitazioni di queste deve puntare a preservare le democrazie rafforzando i principi fondamentali sui quali queste si reggono, non limitandoli.  Il conflitto oggi si può vincere senza mai dichiarare guerra e la deterrenza cognitiva diventa decisiva tanto quanto quella nucleare, pur non minacciando grandi esplosioni ma macchinando, lentamente ma senza tregua, implosioni strutturali.

Cognitive intelligence. Se la mente è il campo di battaglia

La dimensione cognitiva emerge come nuovo terreno di competizione tra potenze. Il lavoro di Jorge Conde e Andrew Whiskeyman sull’International Journal of Intelligence and CounterIntelligence delinea la Cognitive Intelligence come disciplina necessaria per comprendere e proteggere i processi decisionali delle società moderne. Profilazione avanzata, ingegneria delle percezioni e sfruttamento dei dati personali richiedono dottrina, competenze e governance: l’Occidente deve colmare il divario con gli attori che hanno già integrato il dominio cognitivo nelle proprie strategie militari

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