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Il mondo non gira attorno all’Italia, le relazioni internazionali neppure, tanto meno le notizie di “Esteri” sui media. Ma l’incontro tra il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese, il ministro degli Esteri Wang Yi, non può non riguardare anche l’Italia. Tanto più per la coincidenza temporale: il faccia a faccia in Laos — nella capitale Vientiane, dove si svolge il vertice Asean — tra i due altissimi funzionari delle leadership cinesi e statunitensi avviene mentre la presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, è in Cina per rimodellare le relazioni bilaterali — anche alla luce della scelta, forte, presa dal suo governo con l’abbandono della Belt & Road Initiative.

Da qui: si ricorderà che quando il governo gialloverde nel 2019 siglò il memorandum di intesa con cui aderiva alla grande infrastruttura geopolitica immaginata da Xi Jinping per legare Oriente ed Europa, i più critici furono proprio gli americani. In più occasioni, nemmeno troppo riservatamente, vari funzionari statunitensi avevano invitato l’Italia a scelte più consapevoli, come appunto la decisone di non rinnovare l’adesione. Vista da Washington più che positivamente. E adesso, con l’Italia che rimodella le relazioni con la Cina, il contesto conta: anche perché, a distanza di un lustro, l’attrito tra Pechino e l’Occidente è cresciuto — con il Partito/Stato totalmente lanciato nel contrastare il modello occidentale e costruirne uno “con caratteristiche cinesi” per governare le relazioni internazionali, come ricordava Alicjia Bachulska, analista dell’Ecfr tra gli esperti coinvolti da Formiche.net per lo speciale con analizzare il contesto, appunto, della missione cinese di Meloni.

E dunque, cosa più del dialogo tra i due più grandi poli delle relazioni globali può influenzare quel contesto? Siccome sarà da quello che (sovranismi a parte) segnerà la morfologia dei rapporti sino-italiani, vale la pena dunque segnare i punti dell’incontro Wang-Blinken, anche dal punto di vista narrativo.

Narrazioni e interessi

Con Wang, Blinken ha espresso innanzitutto preoccupazione per le “azioni destabilizzanti” di Pechino (dal bullismo contro le Filippine nel Mar Cinese Meridionale alle manovre attorno a Taiwan, dalle penetrazioni nell’Indiano alla pressione nel Sud-est asiatico). E ha soprattutto sottolineato che gli Usa con i propri alleati e partner, continueranno a promuovere una visione di un Indo Pacifico libero e aperto.

Val la pena ricordare che mentre Blinken dice questo, Meloni arrivava a Pechino, e il più importante assetto militare italiano — il carrier strike group di Nave Cavour — è nell’Indo Pacifico per partecipare alle attività di Pitch Black 24 e Nave Montecuccoli è (insieme al Vespucci, come in foto) a Honolulu per partecipare a RIMPAC24. Come dice l’ammiraglio Giancarlo Ciappina, la “chiave” di questi dispiegamenti è l’interoperabilità. Questa interoperabilità è ciò che in sostanza sottintende Blinken quando parla di “free and open Indo-Pacific” come obiettivo condiviso da Usa e partner — tra cui l’Italia, appunto.

A testimonianza di come questi interessi si incrocino sempre di più tra regione med-atlantica e indo-pacifica, Blinken ha avvertito la Cina riguardo al supporto alla base industriale della difesa russa, affermando che gli Stati Uniti prenderanno “misure appropriate” se la Cina non interromperà tale supporto. Secondo le informazioni disponibili, anche Meloni dovrebbe avanzare questa preoccupazione nella conversazione che avrà con il leader cinese Xi Jinping — anche se probabilmente nella comunicazione pubblica gli scambi di vedute sul dossier Ucraina verranno sfumati, raccontati come un confronto positivo in ottica di trovare una forma di pace (possibilmente “giusta”).

Wang, dal Laos, ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno una “percezione errata della Cina” e ha esortato a tornare a una politica cinese “razionale e pragmatica” per Washington. Tra le percezioni ci rientra anche l’assistenza alla Russia,  che nel dire cinese è un’esagerazione della Nato; nella politica pragmatica per Pechino deve esserci spazio per la cooperazione commerciale su un piano totalmente disconnesso dalla sfera politica. Attualmente è impossibile, perché la sicuritizzazione ha ormai invaso anche la dimensione economica (anche per la Cina).

Certe differenze di visione e percezione si ritrovano anche nelle dichiarazioni ufficiali, come sempre fondamentali in certi casi. La Cina adotta un tono accusatorio e difensivo. Wang Yi critica apertamente gli Stati Uniti per il loro continuo contenimento e tentativo di limitazione della crescita cinese, affermando che queste azioni sono persino aumentate (“containement” è il termine da Guerra Fredda che caratterizzò la politica con l’Unione Sovietica, Pechino accusa Washington di azioni simili, coinvolgendo alleati e partner).

Wang sottolinea anche come le relazioni sino-americane siano a un punto critico, con rischi e sfide in aumento, e ribadisce che la politica della Cina verso gli Stati Uniti è sempre stata coerente, basata su rispetto reciproco, coesistenza pacifica e cooperazione vantaggiosa per entrambi. Invita per questo gli Usa a rispettare gli impegni presi dal presidente Joe Biden nell’incontro con Xi di San Francisco. Pechino ormai la chiama “Visione di San Francisco”, ma l’idea di un cambiamento della politica americana è una narrazione cinese, al di fuori di interessi e promesse di Biden.

Wang accusa inoltre gli Stati Uniti di avere una percezione errata della Cina, riflettendo una mentalità egemonica. Sottolinea che la Cina non cerca né l’egemonia né il potere e difende con forza la sua sovranità su Taiwan, dichiarando che “Taiwan è parte della Cina” e che ogni provocazione da parte delle “forze indipendentiste taiwanesi” sarà contrastata. La Cina critica anche l’interferenza degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale e le sanzioni unilaterali, affermando che tali azioni destabilizzano la regione e non saranno tollerate. In generale, Pechino usa lo statement per parlare a un mondo che condivide la visione critica degli Usa (e poi in generale dell’Occidente).

Dall’altra parte, la dichiarazione statunitense adotta un tono più diplomatico e costruttivo. Blinken descrive l’incontro come una discussione aperta e produttiva su questioni bilaterali, regionali e globali. Sottolinea l’importanza di usare la diplomazia per gestire responsabilmente la competizione tra le due nazioni, discutere francamente le aree di differenza e fare progressi in quelle di cooperazione che sono importanti per il popolo americano e il mondo intero. Blinken riafferma che gli Stati Uniti continueranno a proteggere i propri interessi e valori, così come quelli dei loro alleati e partner, compresi i diritti umani.

Il segretario enfatizza anche l’importanza di mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan e solleva preoccupazioni per le azioni destabilizzanti della Cina nel Mar Cinese Meridionale; ribadisce l’impegno degli Stati Uniti per la libertà di navigazione e il diritto internazionale. Blinken esprime inoltre seria preoccupazione per l’aiuto più o meno indiretto cinese alla Russia. A Pechino, che in queste ore ospita Meloni la quale riveste il ruolo di presidente di turno del G7, il vertice in Laos ha un valore fondamentale, anche in vista della riunione del G20 — quando Xi vedrà Biden già fuori dalla Casa Bianca.

Dialogo Usa-Cina in Laos (mentre Meloni è a Pechino)

Blinken e Wang si parlano tra narrazioni e interessi. Ecco perché l’Italia, con Meloni a Pechino e il Cavour nell’Indo Pacifico, non può non tener conto dello stato evolutivo delle relazioni Usa-Cina

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