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Tra le cause della crisi economica dell’Occidente industrializzato ci sono anche le tasse. È ciò che mette in luce l’Indice della libertà fiscale in Europa, stilato dal centro studi “Impresa lavoro” e di cui Formiche.net è in grado di anticipare i contenuti. L’ipertassazione, peraltro, che secondo il centro studi pregiudica la capacità produttiva di un paese, raggiunge i suoi livelli massimi in Italia, dove l’onere del prelievo è direttamente proporzionale a quello della burocrazia. Due voci sempre da riformare, ma che non cambiano mai. Proviamo a capire perché.

L’ITALIA È SEMPRE IN TESTA

L’Italia si colloca in coda alla speciale classifica elaborata tenendo conto della pressione fiscale, del livello di tassazione implicita, del numero di adempimenti e del livello di decentramento dell’imposizione fiscale. Con una pressione fiscale pari al 44,3% del Pil, l’Italia, è, infatti, seconda soltanto alla Francia (47%) e alla Svezia (44,6%); ma si tratta di “un’illusione contabile”, spiega Pietro Monsurrò, ricercatore dell’Università Sapienza di Roma, che ha collaborato alla redazione dell’indice. “Perché non si può non considerare il fatto”, prosegue, “che le stime del Pil italiano sono inattendibili, poiché l’evasione fiscale sottrae ad esso circa 1/5 del suo valore reale, essendo stimata intorno al 17% del Pil”.

IL PESO DELLE TASSE OCCULTE

Ma non è tutto. A pesare sul bassissimo rating dell’Italia, che chiude con un punteggio di 42 su 100 la speciale classifica aperta dalla Svizzera con 76 su 100, è anche il livello della tassazione implicita. Quella sui consumi, che equivale, grazie all’Iva, a un ulteriore 9,8% (peggio di noi solo la Lituania); quel sul lavoro, complice l’Irap, che sono altri 5,7 punti percentuali. E, infine, quella sui capitali pari anch’essa al 2,6%. Numeri che ci consentono di superare abbondantemente la soglia del 60% del prelievo complessivo sul Pil.
E non sorprende che, trattandosi di un valore medio, ci siano anche casi, come quelli raccontati dall’imprenditore Adriano Teso (presente ieri alla tavola rotonda dove sono stati anticipati i contenuti dello studio) in cui un’azienda può arrivare a versare allo Stato un obolo addirittura superiore all’80% del reddito prodotto.

IL DECENTRAMENTO MANCATO

Posizioni di coda raggiunge l’Italia anche per quanto riguarda il decentramento fiscale (che ci vede all’ultimo posto in compagnia di Romania e Bulgaria), le ore impiegate da cittadini e imprese per pagare le tasse (terzi dietro Repubblica e ancora Bulgaria), nonché il numero complessivo degli adempimenti fiscali. Fatto indubbiamente curioso è che in quest’ultima graduatoria ci troviamo secondi solo alla Svizzera, ma soltanto perché l’elevato numero di adempimenti lì va di pari passo con il decentramento fiscale. Mentre di qua dalle Alpi si tratta soltanto di confusione e nuove leggi che si accumulano a ripetizione.
Tanto che, per fare un esempio, mentre in Svizzera il comune offre tanti sacchetti per la raccolta differenziata quanti ne occorrono; da noi, invece, se hai una casa al lago in cui ti rechi soltanto un mese l’anno, la tassa sui rifiuti devi comunque pagarla come se in quell’abitazione ci abitassi per 365 giorni e fruissi ogni settimana del servizio di raccolta.

TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA

Secondo il centro studi Impresa lavoro, in definitiva, l’ipertassazione è semplicemente l’altra faccia della medaglia dell’incapacità politica di ridurre la spesa pubblica. Il nostro Paese, infatti, “è dal 2006 che vede questa voce aumentare in continuazione”, ha ricordato Monsurrò. Una tendenza che ha accomunato “i governi Berlusconi e Prodi”. E che non sembrerebbe essersi arrestata nemmeno con il governo Renzi; come dimostra, ha ricordato il presidente della Confedilizia Corrado Sforza Fogliani, il tentativo di riformare il catasto che, a suo avviso, cela l’ennesimo inasprimento delle tasse sulla casa.

IL CORAGGIO DELLE RIFORME

Per poter tagliare la spesa pubblica, del resto, occorrere mettere mano a tante riforme, secondo Impresa lavoro, che ancora nessuno ha avuto il coraggio di fare. A partire dalla spesa pensionistica, che potrebbe essere ridotta del 10/15% in dieci anni; i vitalizi, che potrebbero essere gradualmente ridotti per mezzo di un contributo di solidarietà; i servizi offerti dai comuni, i cui costi potrebbero essere parametrati all’efficienza reale della prestazione offerta. Per non parlare poi dei grandi temi del lavoro pubblico e della giustizia, che anch’essi attendono da anni di essere riformati.

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