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Sono ore cruciali per decidere se e come Washington sosterrà militarmente l’esercito ucraino. Dopo il fallimento del cessate il fuoco deciso negli accordi di Minsk, i separatisti filorussi nella parte orientale del Paese hanno ripreso vigore e sono avanzati ulteriormente, sostenuti dall’appoggio del Cremlino.

LO SPREAD DEGLI ARMAMENTI

Poco importa che l’economia russa, ulteriormente provata dal crollo del greggio, sia prossima al collasso. Mosca, come ricorda Federico Rampini su Repubblica, “non sta riducendo le sue forniture belliche ai separatisti (com’era nei patti)”. Il problema più grande, però, è nello squilibrio tra i flussi di aiuti che vengono da Est e da Ovest, enorme secondo le analisi di Pentagono e Nato. “I russi – spiega il corrispondente – hanno mandato ai secessionisti i nuovi carri armati T-80, la cui corazza è una difesa impenetrabile per la vetusta artiglieria ucraina. I ribelli hanno ricevuto anche nuove forniture di razzi Grad e altri armamenti pesanti. Infine le forze russe stanno facendo un ricorso sistematico alla guerra elettronica, “accecando” i sistemi di comunicazione ucraini. Sul fronte opposto gli aiuti militari sono pressoché nulli“.

Ieri il segretario di Stato americano John Kerry è volato a Kiev per i colloqui con il presidente ucraino Poroshenko, mettendo 16,4 milioni di dollari di aiuti umanitari in sostegno ai civili nell’est dell’Ucraina. Una cifra che dovrebbe sommarsi ai 118 milioni di aiuti per “addestramento e attrezzature non di combattimento” promessi al ministero della Difesa dall’amministrazione Obama.

Poca roba“, commenta ancora Rampini. “E solo la metà di quanto promesso è stato effettivamente consegnato“.  Nei piani di Washington, nonostante i numerosi endorsement a questo tipo di soluzione, resterebbe escluso qualsiasi aiuto di tipo militare in senso proprio. Ed invece, “è questo che l’Ucraina continua a chiedere con insistenza: dai fucili di precisione alle munizioni, dai lancia-granate ai bazooka anti- carro, dalle autoblindo ai radar e ai droni. Kiev è praticamente sprovvista di tutto ciò che caratterizza un esercito moderno, dalle armi leggere alla strumentazione elettronica“.

LE MISURE DELLA NATO

Mentre la Casa Bianca cerca di decidere il da farsi, la Nato aumenta la propria presenza nella regione. Ieri i ministri della difesa dei Paesi membri dell’Alleanza, riuniti a Bruxelles, hanno concordato la creazione di sei nuovi posti di comando e controllo in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania e annunciato che la forza di risposta rapida, pienamente operativa nel giro di 48 ore, sarà raddoppiata, fino a 30mila unità. Putin ha immediatamente risposto richiamando in servizio per due mesi i riservisti. Una prassi ordinaria dicono dal Cremlino, in realtà solo un modo per mostrare i muscoli. Ma il timore di molti esperti e cancellerie, però, è che con l’invio di armamenti, questa nuova Guerra fredda si trasformi in “calda”, come lasciano presagire le parole dell’inviato della Federazione russa presso l’Alleanza, Alexander Grushko che ha detto che “i Paesi baltici potrebbero diventare una regione di “confronto militare” tra la Russia e la Nato. Armare Kiev, spiega Bloomberg, potrebbe servire solo ad irritare Mosca, come era accaduto con la Georgia nel 2008. Un’opinione condivisa dal generale Vincenzo Camporini – ex capo di Stato maggiore della Difesa, attualmente vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali – per il quale questa ipotesi è improbabile, perché “sarebbe un gesto di aperta ostilità, al quale il Cremlino potrebbe reagire”, senza troppo timore di essere ulteriormente isolata sul piano internazionale.

LA RICETTA DEL FINANCIAL TIMES

L’invio di armi, secondo il britannico Financial Times, non è in fondo necessario: basterebbe mettere l’Ucraina in condizioni di difendersi, fornendole migliori sistemi di telecomunicazioni, droni e radar per dissuadere la Russia dall’attacco senza rendere Kiev aggressiva. Ed è questa la linea che segue in queste ore la diplomazia del Vecchio continente, contraria in modo netto a un invio di armi pesanti che – anche a parere di Bruxelles – alzerebbe le probabilità di una guerra nel cuore dell’Europa democratica. Il conflitto ucraino è il tema forte dell’agenda della conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera che si apre oggi e alla quale parteciperanno una ventina di capi di Stato e di governo. Mentre François Hollande e Angela Merkel saranno a Mosca nel pomeriggio per incontrare il presidente Putin e “cercare un accordo” che, tuttavia, pare sempre più distante.

Chi vuole (e chi no) l'invio di armi in Ucraina

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