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Galli della Loggia sul Corsera di sabato scorso ha descritto a tinte forti lo sfacelo della scuola italiana. Ed ha pienamente ragione anche quando dice che la scuola “o è un progetto politico nel senso più alto del termine, o non è”. Ma anche la sua analisi risente di una visione statalista dell’insegnamento. Come se, stante una per altro legittima “funzione educativa” della collettività, fosse scontato che questa debba essere appannaggio dello stato. Quando invece è, o dovrebbe essere, in primis delle famiglie, come recita l’art. 30 della Costituzione, spesso e volentieri dimenticato: “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli” (tra l’altro, basterebbe questo per sfatare una volta per tutte il mito della “scuola dell’obbligo”: ad essere obbligatoria – di nuovo, è la Costituzione che lo dice, all’art.34 – è l’istruzione, non la scuola). Il punto allora non è l’ennesima riforma calata dall’alto, ma il modo stesso di intendere la trasmissione del sapere che va ripensato, portando l’istruzione fuori dalle secche della scuola statale – per di più ideologicamente viziata (vedi alla voce: ideologia di gender) – verso nuovi modelli formativi. Negli Usa, ad esempio, dove il tema è molto sentito, già da anni ha preso piede la cosiddetta “homeschooling”, una forma (non l’unica) di “educazione parentale”, dove sono i genitori, appunto, che insegnano ai loro figli le varie discipline, all’interno di un ben preciso contesto culturale e morale loro proprio. E’ tempo che anche in Italia le famiglie si riapproprino delle loro prerogative, per una – questa sì – vera riforma dell’istruzione all’insegna della sussidiarietà e della libertà. E’ il caso della “scuola hobbit”, una scuola parentale nata a Staggia Senese, e coordinata da Giulia Pieragnoli che ne ha parlato in un’intervista su La Nuova Bussola Quotidiana di qualche giorno fa. A differenza dell’homeschooling propriamente detto, dove l’insegnamento viene fatto in famiglia, la scuola hobbit si caratterizza per essere una scuola dove si insegna in un contesto comunitario, ovvero ricreando l’ambiente della scuola tradizionale con un’aula, una maestra, gli orari ecc., e con classi di al massimo dieci alunni per dare modo ai docenti di seguire ogni singolo bambino. L’idea portante della scuola hobbit è semplice: “desideravamo una scuola cattolica, ma soprattutto libera” – dice Giulia Pierangeli alla Nuova Bussola – “cioè una scuola che ci garantisse la piena responsabilità educativa dei nostri figli”. E dunque: “sganciandoci completamente dal sistema dello Stato, siamo veramente liberi di insegnare ciò che riteniamo positivo e di non insegnare ciò che riteniamo come negativo per i bambini. Noi non siamo una scuola autorizzata dallo Stato proprio perché non vogliamo alcuna autorizzazione. Quello che vogliamo, al contrario, è realizzare un ambito di piena libertà di educazione in capo a genitori e insegnanti. E’ questo il vero motivo per cui nasce la Scuola Hobbit: la libertà di educazione. Tutti a parole la invocano, ma poi di fatto non esiste. Nel nostro caso sì.” Se il buongiorno si vede dal mattino, questa come altre iniziative che stanno prendendo corpo in tutta Italia, lasciano ben sperare.

Educazione parentale. Per una (vera) riforma della scuola

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