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L’annuncio dell’8 febbraio della cancellazione da parte dello US Army del programma di sviluppo per un nuovo elicottero militare ha destato qualche perplessità, non solo tra gli operatori americani, ma nei ministeri della Difesa e nelle relative industrie in Europa. Non è certo la prima volta che gli americani spendono miliardi di dollari su programmi che poi cancellano, ma in questo caso sono addirittura recidivi. Un programma analogo, il RAH-60 Comanche, per un elicottero con la stessa missione, è già stato cancellato quasi vent’anni fa e per lo stesso motivo dichiarato allora: la missione si può fare con i droni, senza rischiare la vita degli equipaggi – Ucraina docet. Allora gli Stati Uniti erano appena sbarcati in Iraq e anche allora i droni erano la motivazione.

Il programma FARA (Fast Attack and Reconnaissance Aircraft) cancellato qualche settimana fa e su cui erano già stati spesi due miliardi di dollari, era in evoluzione con un nuovo modello di acquisizione dalla difesa Usa, chiamato Competitive prototyping, cioè compartecipare l’industria allo sviluppo di più dimostratori operanti, per permettere al cliente di fare la scelta più aderente al requisito e ridurre i tempi di sviluppo e produzione del programma. È un modello che impone costi anche all’industria, per quasi un terzo dell’investimento, e premia chi meglio interpreta le esigenze e i requisiti della difesa. Nel caso del FARA erano rimasti in gara Bell, con un elicottero a tecnologia tradizionale, e Sikorsky, con un elicottero innovativo, a pale controrotanti ed un’elica propulsiva in coda. Entrambe le aziende hanno sviluppato prototipi, pronti al volo.

Quello che però incomincia a trapelare in ambienti americani è che la decisione dell’US Army non sia forse così lineare come sembra. Infatti, l’utilizzo di droni per una missione in aree ad alta intensità può avvenire solo con la disponibilità ininterrotta di data link e collegamenti satellitari. Come ha confermato ad Airpress il generale di divisione (Aus.) Fortunato di Marzio, pilota e già Comandante di Reggimento di Elicotteri di Attacco e Ricognizione/scorta: “Proprio la guerra in Ucraina dimostra quanto sia poco attendibile la certezza di riuscire a garantire il dominio non solo aereo, ma anche dello spettro elettromagnetico. Qualcosa che suscita molto scetticismo tra gli esperti, anche alla luce del forte dispiegamento di risorse russe dedicate alla guerra elettronica”. In altre parole, la possibilità di un utilizzo massiccio di droni per missioni di attacco e ricognizione può avvenire soltanto attraverso un controllo quasi assoluto dello spettro elettromagnetico a più basse quote.

E forse la decisione dell’US Army, non è motivata solo da un improvviso cambio di strategia ma piuttosto dalla realizzazione che gestire due programmi di sviluppo di piattaforme aeree in parallelo, come il FLRAA (Future long range assault aircraft, per il quale è stato selezionato un design tiltrotor) e il Fara, non sono compatibili né con le sue prospettive di bilancio né con la sua di capacità di gestione, e puntare sui droni è un modo elegante per districarsi dal problema.

La questione sta adesso toccando anche i vertici dei comitati Difesa del Pentagono. Il chairman del comitato Air and land forces, Rob Wittman, ha in questi giorni avviato formali richieste di chiarimento all’US Army: “Comprendiamo che l’Army è adesso focalizzato sull’utilizzo dei droni ma non si comprende quale sia la direzione per l’ammodernamento degli elicotteri, specialmente nel segmento di elicotteri veloci per attacco e ricognizione”.

Peccato che questa decisione abbia anche implicazioni quasi esistenziali per l’industria elicotteristica americana.

Se anche il FLRA subirà ridimensionamenti, come si mormora tra gli esperti americani, anche a causa dei problemi irrisolti con il convertiplano V-22 Osprey, ormai con le flotte messe a terra dal 6 dicembre, sia Bell che Sikorsky dovranno trovare sbocchi alternativi per le tecnologie che i programmi americani hanno prodotto. Ma la storia della difesa Usa insegna che la base industriale del Paese riceve sempre un’attenzione prioritaria, se non direttamente dal dipartimento della Difesa, sicuramente dal Congresso americano che è avvezzo a munifiche elargizioni per la salvaguardia della capacità produttiva nazionale.

Ricordiamo che proprio il Pentagono, a partire da fine anno, dovrà assicurare che l’industria elicotteristica americana preservi le sue competenze, perché non sarà certo il FLRAA a sostituire in futuro i più di tremila Blackhawk che volano con i colori americani. Certamente, come in passato, l’esercito lancerà un nuovo programma fra qualche anno, forse anche con le tecnologie già sperimentate con successo con il Fara.

Rimane comunque il fatto che la tempistica della decisione offre all’industria elicotteristica europea un interessante spazio di manovra per inserirsi in un mercato importante con le proprie soluzioni innovative e con la sponda di tecnologie mature già sviluppate dagli americani, e oggi più accessibili perché orfane di programmi nazionali.

Non a caso la Nato, con la sua iniziativa Next generation rotorcraft capability (NGRC), ha proprio in questi giorni pubblicato il bando di gara per l’ultimo studio in cui chiede all’industria dei Paesi Nato di fornire soluzioni tecnologiche elicotteristiche ad alte velocità, con sistemi di missione ed effettori di quinta generazione, precisando che non considererà proposte di soluzioni con tecnologie attuali.

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