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Una bomba “homemade”. Si potrebbe definire così il controverso caso, denominato “Emailgate”, che sta creando qualche imbarazzo in casa Clinton. Ad essere coinvolto, stavolta, non è Bill ma l’integerrima Hillary, ex first lady, ex senatrice di New York ed ex segretario di Stato che sembra lanciata verso la conquista della Casa Bianca.

L’ “EMAILGATE” E IL FEDERAL RECORDS ACT

Mrs Clinton è finita nel mirino della stampa americana perché avrebbe continuato ad usare, anche per comunicazioni ufficiali, la mail personale anche quando era segretario di Stato e non avrebbe consegnato agli archivi, come era tenuta a fare periodicamente, i suoi messaggi di posta elettronica. «La regola è chiara – ha spiegato il portavoce di Barack Obama – i membri dell’esecutivo e alti funzionari dell’Amministrazione devono usare solo indirizzi email governativi, non quelli privati». Del resto – come riporta il New York Times – il Federal Records Act regolamenta, tra le altre cose, proprio le comunicazioni di posta elettronica per chi sta al governo. Queste devono essere tracciabili, conservate negli archivi di Stato e chi le ha scritte deve poterne rispondere davanti alla giustizia.

IL COINVOLGIMENTO NEI FATTI DI BENGASI

Ma la bufera dello scandalo non accenna a placarsi con il passare delle ore. Anzi. Con l’“Emailgate” starebbero venendo a galla anche le polemiche sull’attentato al consolato americano di Bengasi, che l’11 settembre 2012 costò la vita a quattro americani, tra cui l’ambasciatore Usa in Libia, Chris Stevens. Pare, infatti, che allora la commissione d’inchiesta istituita dal Congresso chiese al Dipartimento di Stato l’intera documentazione su quanto accaduto.

Secondo quanto ricostruito dal New York Times, però, nel file furono omesse le email della Clinton che erano state gestite attraverso un account privato, anziché da uno di posta elettronica ufficiale. Così, non appena sui media è divampato l’“Emailgate” i collaboratori dell’ex segretario di Stato si sono trovati a dover spulciare migliaia di email per decidere quali consegnare al Dipartimento di Stato. Stando sempre alle ricostruzioni del Nyt, ne sarebbero state consegnate 55mila, e tra queste solo alcune su Bengasi. Il presidente della commissione istituita per indagare sull’attentato, Trey Gowdy, repubblicano della Carolina del Sud, ha chiarito in diverse interviste – scrive in un altro articolo il New York Times – «che ha intenzione di usare il potere legale del comitato per ottenere l’accesso alla maggior quantità di materiale possibile sul caso».

IL DOMINIO CHE LIMITAVA L’ACCESSO A TERZI

Intanto, secondo alcuni documenti esaminati dall’Associated Press, è emerso che il dominio “Clintonemail.com” – attivo da gennaio 2009, poco prima che Hillary giurasse come segretario di Stato americano – era registrato nell’abitazione che i Clinton hanno a Chappaqua, nello stato di New York. Sempre l’AP scrive che questa pratica «del tutto inconsueta per un ruolo istituzionale di quel livello, consentiva alla Clinton di limitare l’accesso da parte di terzi al suo archivio» e rende «molto più complicate le responsabilità legali del Dipartimento di Stato nello scovare le email ufficiali in risposta alle indagini, alle azioni legali o alle richieste dei registri pubblici».

POLEMICHE E TIMORI SU TRASPARENZA E RIPERCUSSIONI POLITICHE

Il Washington Post è del parere che la commissione chiederà di visionare tutte le e-mail relative all’attacco di Bengasi inviate dagli account “Clintonemail.com” e da ogni altro account personale dei membri dello staff della Clinton. Nel frattempo però, scrive WP, se «i sostenitori della trasparenza governativa hanno espresso preoccupazione per il livello di controllo che la Clinton aveva dei suoi registri e delle sue conversazioni, in queste ore gli esperti di sicurezza si stanno chiedendo se gli hacker potrebbero sfruttare questa situazione per accedere a informazioni e dati sensibili». Non solo. Sul fronte politico, per il Washington Post, «alcuni democratici sono preoccupati del fatto che l’“Emailgate” danneggi la corsa dell’ex segretario di Stato per la presidenza Usa».

LA RISPOSTA DELLA CLINTON

Dopo 48 ore di no comment riporta la CNN -, Hillary Clinton ha rotto il silenzio con un tweet inviato dal suo profilo: «Voglio che il pubblico veda le mie email. Ho chiesto allo Stato di rilasciarle il prima possibile. Mi è stato detto che saranno verificate nell’ottica di una pubblicazione il prima possibile». Da Foggy Bottom, la portavoce Marie Harf ha confermato quanto cinguettato dall’ex First Lady: «Faremo questa recensione il più rapidamente possibile» ma ha  precisato che «dato il volume dei documenti, ci vorrà tempo perché l’operazione sia completata».

Hillary Clinton, Emailgate?

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