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Lo smarrimento in cui si è trovato tutto il sindacato con la fine della concertazione avviata dal governo Monti e portata avanti con decisione da Matteo Renzi, nel duplice ruolo di segretario del Partito Democratico e di capo del governo, sta mettendo a dura prova la tenuta della Cgil.

L’ex-sindaco di Firenze ha saputo usare con spregiudicatezza il leader delle tute blu della Cgil e le sue ambizioni ai danni della Cgil e di Susanna Camusso, di cui Landini è da sempre il principale oppositore interno. Ma il tentativo d’imprimere un cambio di linea alla Cgil ha inevitabilmente accentuato le velleità politiche di Landini, che oggi si fa promotore di un soggetto che non è né partito né sindacato, la “cosa” che dovrebbe contrapporsi allo stesso Governo Renzi. Un luogo che somiglia a una “terra di mezzo”, così l’ha definita sulle pagine di Conquiste del Lavoro Carlo D’Onofrio,  dove il rapporto con gli iscritti, tradizionale base della rappresentanza di interessi, sfuma in quello, più vago ed emotivo, con dell’opinione pubblica.

In effetti l’annuncio del suo impegno diretto in politica Maurizio Landini l’aveva già fatto qualche tempo prima a Napoli: “Gli onesti non sono con Renzi”, aveva detto, salvo poi ritrattare. Nella tecnica della smentita Landini si esercita sempre più spesso; forse un giorno raggiungerà le vette di Silvio Berlusconi, maestro indiscusso di quest’arte. Il leader Fiom si è cimentato anche con il caso delle assunzioni alla FCA di Melfi quando, sulle pagine de la Repubblica, dichiarò: “Bravo Sergio, ora fai gli investimenti, noi siamo pronti a voltare pagina”.  E subito la smentita, stavolta attraverso Il Fatto Quotidiano, trascorse appena 24 ore.

Quanto ha invece dichiarato in questi giorni, sempre sulle pagine del Fatto Quotidiano, giornale che alle mosse del leader Fiom è da sempre particolarmente  attento, rappresenta, più che un annuncio, la conferma di un “progetto politico”. Anche per i più distratti dovrebbe essere  chiaro da tempo, non fosse altro per il suo presenzialismo mediatico, che ne ha fatto l’ospite fisso dei principali talk show televisivi, cosa intende Landini con l’espressione, di un sindacalese un po’ fumoso, coalizione sociale: una “cosa” con dentro il sindacato, che da cinghia di trasmissione si fa motore, magari vecchiotta nella concezione così come sotto il profilo dell’azione politica, insomma, per farla breve, un partito.

Ma quanto vale il partito che non c’è di Landini? I sondaggi lo danno dentro una forchetta che va dal 5% al 8% , in cui la fascia di età più consistente è costituita dagli over 64. Insomma un partito dalla tante sfumature di grigio, in senso tricologico, sia chiaro, che ha il suo insediamento principale nei salotti radical chic. Perché forse, come scrive Ajello su Il Messaggero,  “sono proprio le Pantere Canute, quelle più affezionate ai valori di un tempo”, anche perché “meno abituate in quanto già in pensione a doversi misurare con la liquidità dell’attuale mondo del lavoro in cui i diritti vengono inevitabilmente ridisegnati”. Quel mondo radical chic, che non attrae più il voto degli operai già da un pezzo saccheggiato dalla destra populista e xenofoba e in parte dal movimento di Grillo.

Il vero problema, come ha scritto sul Fatto Quotidiano il segretario generale della Fim Cisl Marco Bentivogli, è che “tutta questa operazione danneggia il sindacato, troppi dirigenti sindacali alla vigilia del secondo mandato hanno iniziato a costruirsi un futuro in politica. Peraltro il disegno di Landini cozza contro le regole sull’incompatibilità stabilite dallo statuto della Fiom (art.5 e 6)  e presenti anche in quello della Fim. Regole che sanciscono l’autonomia sindacale dai partiti. In poche parole, ed è ciò che a Landini deve aver ricordato pure Susanna Camuso in un faccia a faccia che non ci immaginiamo troppo disteso, o fai il sindacalista o fai il politico. Ma questo pare importare poco al leader della Fiom,  che in attesa dell’assemblea dei delegati di venerdì dribbla in problema e dice che il suo sindacato fa politica da 114 anni.

Il sindacato metalmeccanico unitario, costituito da da Fiom, Fim, Uilm è ormai da anni un ricordo. Dal 2001 su sei contratti rinnovati la Fiom ne ha firmati solo due; addirittura nessuno negli ultimi sei anni. Ora le scelte di Landini rendono sempre più difficile un processo di riavvicinamento in vista di un’azione unitaria.

Sempre Bentivogli, nel primo faccia a faccia pubblico con il suo alter ego della Fiom al Cnel lo scorso 9 febbraio, ha precisato che si può ragionare intorno a un percorso unitario purché ci sia una depoliticizzazione dell’attività sindacale.

Ma scisso com’è in due tronconi, che non dialogano perché hanno mission e linguaggi completamente diversi, il sindacato che incarnano Fiom e Cgil rischia di far sbiadire l’intera identità confederale. E soprattutto di vanificare , come scrive Giuseppe Berta in suo saggio  (“Produzione intelligente”),  il ruolo concreto del sindacato in un’area strategica come l’industria.

Al contrario c’è bisogno, proprio oggi, di un sindacato che invece di virare verso l’antagonismo politico, un antagonismo neo-ideologico, sappia percorrere la strada del cambiamento in atto nel mondo del lavoro dentro una dimensione negoziale e pragmatica, per organizzare nuovi lavoratori e nuovi lavori.

Una sfida che per la verità investe tutto il mondo della rappresentanza, anche quella datoriale, anch’essa sempre più distante dalle esigenze dell’impresa e del lavoro.  Il caso Fiat è stato la punta di un enorme iceberg che ancora galleggia in un mare  in cui si vanno ridisegnando soggetti, tempi e modalità di rappresentanza.

Ma anche una sfida che il sindacato ha le carte in regola per affrontare, a partire da quello metalmeccanico,  dentro una dimensione di rappresentanza partecipativa e negoziale. Nulla di più distante dal “soggetto sociale” radical  promosso da Landini, che a tutto mira tranne che a farsi interprete del cambiamento.

L’unica speranza, allora, viene dai lavoratori. Che hanno capito da tempo, prima degli analisti e dei politici, da che parte stare e hanno scelto con chi stare. Anche qui, è il caso Fiat a fare scuola. La storia dei cinque operai (solo cinque!) che a Pomigliano hanno aderito al mesto sciopero organizzato dalla Fiom contro il lavoro straordinario racconta meglio dei sondaggi un mondo che sta cambiando. Dai lavoratori e dal loro sostegno arriverà  la spinta per un sindacato 2020, che la Fim Cisl è pronta a raccogliere. Agli altri “la cosa” dell’Avvenire.

Il sarchiapone politico di Maurizio Landini

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