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L’80° anniversario dello sbarco in Normandia il 6 giugno 1944 ha radunato i leader occidentali nei pressi della spiaggia che in quel giorno si iscrisse nell’albo d’oro della storia col nome convenzionale di Omaha Beach. All’Operazione Overlord presero parte 150.000 soldati di cui 73.000 britannici, canadesi, australiani, neozelandesi e di altri Paesi dell’Impero di Sua Maestà; e 59.000 americani. La notte precedente erano stati lanciati al di là delle linee nemiche 24.000 paracadutisti. Le navi da guerra da sbarco ed ospedali coinvolte furono 6.480. Ingenti anche le forze della marina, dei mezzi corazzati e del supporto logistico. Quasi 10.000 furono i caduti durante lo sbarco e la conquista delle spiagge; 3.000 di loro non riuscirono neppure a uscire dall’acqua. Ma quel titanico sbarco fu decisivo per le sorti del conflitto: meno di un anno dopo gli Alleati arrivarono a Berlino.

Ritrovarsi in Normandia nel 2024 ha avuto un significato assai diverso della consueta rievocazione di un “giorno da leoni’’. Quello sbarco e quei caduti pongono delle domande a cui dobbiamo rispondere. E lo ha fatto il presidente americano Joe Biden, senza infingimenti, sottolineando che “la storia ci dice che la libertà ha un prezzo. Se volete sapere qual e venite in Normandia, venite a vedere dove riposano i nostri soldati. Ricordate il sangue dei giovani, di generazioni che hanno compiuto il loro dovere. E oggi”, ha continuato, “noi faremo il nostro dovere, in un momento in cui la democrazia è a rischio. Affronteremo la tirannia, il male. Lo faremo con il pugno di ferro”. In sostanza, se il cuore degli statisti presenti fosse stato lì sulla Manica, gli occhi avrebbero guardato a migliaia di chilometri di distanza, fino a Odessa sul Mar Nero. E il presidente ucraino Volodymyr Zelensky era arrivato in Normandia non solo per partecipare al picchetto d’onore di tanti valorosi che difesero – è stato detto – una terra che non era la loro per una causa che era anche la loro. Era lì per unire due storie apparentemente diverse ma intessute del medesimo significato: lo sbarco del 1944 (come atto importante di una guerra combattuta per segnare la fine – come ha voluto scrivere il cancelliere tedesco Olaf Scholz – del sistema disumano del nazionalsocialismo, della sua follia razziale e del militarismo, della volontà di annientamento e delle fantasie imperialistiche; gli 800 e più giorni della resistenza ucraina agli invasori russi.

A me piace (anche non è corretto sul piano scientifico) rivivere nel presente la storia del passato sia pure con il relativismo che portò Blaise Pascal a scrivere nei suoi Pensieri che se il naso di Cleopatra fosse stato più lungo o più corto la storia del mondo avrebbe intrapreso un corso diverso. Paradossalmente la medesima considerazione potrebbe essere fatta per Edoardo VIII che abdicò per amore nel 1937, il quale non era alieno alle politiche di appeasement nei confronti del nazismo: politiche che portarono al Patto di Monaco del 1938 quando Inghilterra e Francia ritennero di aver salvato la pace in Europa, accogliendo le rivendicazioni di Adolf Hitler sulla Cecoslovacchia. A questo errore delle democrazie europee si aggiunse la supina accettazione della resa da parte di Praga. La Cecoslovacchia non era un Paese disarmato: disponeva di 50 divisioni già operative e di 15 di riserva; quel governo avesse mandato a quel Paese Neville Chamberlain ed Édouard Daladier (come fece Zelensky quando Biden gli offrì di mettersi in salvo dopo l’invasione russa) la storia della Seconda guerra mondiale avrebbe avuto un corso diverso.

Ci sono poi altri passaggi determinanti che sconfessano i tanti “criminali di pace” del nostro mondo. Quando Winston Churchill divenne primo ministro, nel maggio del 1940, rifiutò le pressioni che provenivano dal suo partito a ricercare un negoziato con Hitler anche se tutto sembrava perduto e quella della resa pareva l’unica soluzione, visto che il grosso dell’esercito inglese era imbottigliato a Dunkerque in Francia a seguito dell’offensiva tedesca e del crollo dell’esercito francese. La Gran Bretagna si trovò sola, perché negli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt aveva le mani legate dal Congresso dove erano molto forti le istanze isolazioniste. Tuttavia, la situazione migliorò quando il presidente americano riuscì a fare approvare la cosiddetta legge “affitti e prestiti”, l’11 marzo del 1941 che autorizzava il presidente degli Stati Uniti a vendere, trasferire, scambiare, affittare, prestare o adoperare materiali a beneficio di ogni Paese la cui difesa fosse ritenuta vitale a quella degli Stati Uniti.

All’inizio del conflitto in Ucraina, Biden si è avvalso di un provvedimento analogo. Qualcuno se la sente di immaginare che cosa sarebbe capitato se quelle armi fossero state vincolate ad un utilizzo solo difensivo? Poi, attenzione alle date. Gli Stati Uniti entrano in guerra con il Giappone nel dicembre del 1941 dopo l’attacco a Pearl Harbour. A quel punto è la Germania a dichiarare guerra agli Usa in applicazione del cosiddetto Patto d’acciaio. Ma da marzo a dicembre 1941 gli americani non sono in guerra con i tedeschi. Non si avverte l’eco di quanto va ripetendo il governo italiano con riguardo alla Russia quando si trincera dietro alla pagliacciata dell’uso solo difensivo delle armi fornite a Kyiv? Alla fine del caravanserraglio, mettiamo il caso che qualche “bello spirito” – mentre centinaia di migliaia di americani si imbarcavano per raggiungere l’Europa – si fosse impegnato a percorrere in su e in giù quello sterminato Paese per chiedere che nessun giovane yankee venisse mandato a morire in Europa o ad uccidere un tedesco, perché quel conflitto doveva essere ‘’contestualizzato’’.

La Germania reagiva alle dure condizioni imposte dal trattato di pace di Versailles alla fine della Grande Guerra, come la Russia oggi reagisce allo sfascio dell’impero sovietico. Che in questo caso l’Unione Sovietica abbia fatto tutto da sola e che i Paesi ex satelliti non vedessero l’ora di andare per la loro strada, sembra non avere molta importanza per i “criminali della pace”.

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