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Tra le cortine fumogene che accompagnano l’imminente elezione del capo dello Stato, gli esperti di rischio politico scorgono una particolare insidia per Matteo Renzi e i rapporti con Israele. Per Renzi l’insidia arriva con le sembianze della mozione parlamentare presentata da SEL per il riconoscimento dello Stato palestinese. Nel panorama giornalistico tricolore, chi ha dato conto della notizia si è limitato a scrivere che difficilmente gli attacchi terroristici di matrice islamista in Francia si tradurranno in un rinvio della mozione, prevista per metà gennaio.

Per Renzi non si tratta di un dettaglio marginale. È vero che mozioni simili si sono succedute in diversi parlamenti europei – clamorosi i voti nel parlamento britannico e in quello danese – ma Roma, molto più vicina geograficamente al teatro israelopalestinese, rappresenta uno scenario diverso.

Due le ragioni principali:

i) in primo luogo, l’Italia è un Paese che sulla funambolica politica estera della Democrazia Cristiana – filoaraba in pubblico, filoisraeliana in contesti riservati – ha probabilmente conquistato l’immunità dal terrorismo islamista di cui ancora godiamo;

ii) in secondo luogo, Renzi e la sua cerchia stretta hanno rimarcato pubblicamente l’amicizia con Israele, quasi a segnalare un elemento di novità rispetto ai tradizionali orientamenti della “ditta” del PD. In realtà la cosa non corrisponde pienamente al vero, visto che anche tra gli ex-DS si possono individuare politici vicini a Israele come il torinese Piero Fassino. Vero, piuttosto, che l’entourage extra-istituzionale di Renzi coltiva relazioni di affari con Israele.

Ovviamente è lecito presumere che dalla prospettiva israeliana conterà moltissimo – più di molte parole – come Renzi stesso saprà o vorrà gestire il delicato dossier. Non c’è che dire: per Renzi, che tiene molto ad accentrare sulla sua figura la gestione della politica estera, è una brutta grana da pelare.

Il calendario, poi, gli gioca contro. Per un verso, i parlamentari di SEL proponenti della mozione hanno nella presidente della Camera Laura Boldrini una sponda forte. Per un altro verso, nei giorni che precedono l’elezione del nuovo capo di Stato, Renzi non ha alcun interesse a cercare lo scontro con la sinistra del Parlamento. L’esito verosimile sarà un delicatissimo esercizio semantico, dove a fare la differenza saranno sottili sfumature. Non certo lo scenario ideale per il premier toscano.

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