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Lunedì 30 marzo a Genova, alle ore 16.30, presso lo Star Hotels President, verrà presentato il libro “Aspettando la crescita. Scritti meccanici per lo sviluppo” di Antonello Di Mario (Tullio Pironti Editore). Ne discutono, presente l’autore, Roberta Pinotti, ministro della Difesa, e Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil.

E’ risaputo che il Paese può crescere in termini di ricchezza solo grazie agli investimenti pubblici e privati. E’ vitale avanzare proposte di politica economica utili alla ripresa. Quindi, è bene chiedere gli investimenti, ma lo è altrettanto indicare dove trovare le risorse per sostenerli.
L’Italia non ha una politica industriale e, a ben guardare, dalle centinaia e centinaia di progetti compresi nel pacchetto italiano recentemente inviato a Bruxelles per accedere ai finanziamenti del Fondo per gli Investimenti Strategici di Jean-Claude Juncker, si ricava l’impressione della difficoltà esistente. Si potrebbe prendere spunto dagli Usa e convocare degli Stati Generali su innovazione e tecnologia per scegliere in quali settori strategici concentrare le scarse risorse che il Paese potrebbe essere in grado di mobilitare nel breve periodo, al fine di riavviare la ripresa economica, rovesciare le aspettative, riconquistare la rilevanza di un tempo nella produzione manifatturiera continentale.

Il riferimento agli Stati Uniti d’America non è alla fase attuale, ma agli anni Ottanta, quando il nuovo continente ha combattuto una lotta senza quartiere contro l’Unione Sovietica e il Giappone per la supremazia tecnologica mondiale. Gli Usa stavano vivendo sin dagli anni Settanta una profonda caduta della produttività del lavoro e dei fattori di produzione, che aveva trasformato il Paese da esportatore netto a importatore netto di macchine che producono macchine, e rilanciato l’immagine di un Paese minacciato dall’aggravarsi della Guerra Fredda e dalla crescita industriale del Giappone.

L’elezione di Ronald Reagan a quarantesimo presidente degli Stati Uniti (1981-1989) segnò l’inizio dell’epoca della “Difesa Prioritaria” contro la minaccia militare sovietica e la sfida economica del Giappone. Narrano le cronache dell’epoca che, all’indomani dell’elezione alla Casa Bianca, Ronald Reagan convocasse meeting con i più importanti scienziati ed economisti del Paese per individuare le direttrici strategiche su cui concentrare l’azione del governo, al fine di riconquistare la leadership tecnologica mondiale.

L’esito della strategia della “superiorità tecnologica” è ben noto. Fu rafforzato e sviluppato il programma “Space Shuttle”, fu dato inizio il progetto dello “Scudo spaziale” e furono avviate estese partnership tra governo, industrie e università, come la National Engineering Action Conference, per sviluppare gli studi di tipo tecnologico.

Le conseguenze di questi ambiziosi programmi possono essere rappresentate attraverso la dinamica dell’industria dei semiconduttori. Nel 1980 l’industria dei semiconduttori vedeva la supremazia statunitense (oltre il 50% della produzione mondiale), mentre la quota del Giappone raggiungeva appena il 25%.

Negli anni Ottanta, il Giappone si concentrò nella produzione di semiconduttori, di elevata capacità, stabilità ed economicità, e nel 1987 la produzione giapponese raggiunse livelli elevatissimi, l’80%, spinta principalmente dalla creazione di videogiochi di cui deteneva il primato mondiale .Gli Usa reagirono imponendo sanzioni temporanee sui prodotti giapponesi e rilanciando la ricerca e l’innovazione.

Nel 1993 Intel avviò la commercializzazione della serie “Pentium” e Microsoft quella di “Windows 3.1”. Nel 1994 gli Usa riconquistarono la leadership del mercato dei semiconduttori, al 43%, e nel 1994, grazie anche al sopraggiungere dei produttori coreani e cinesi confinarono la produzione giapponese al 28% del totale. Negli anni 2000 è proseguito il ridimensionamento dell’industria giapponese dei semiconduttori e oggi il gigante Intel è seguito dalla coreana Samsung.

L’esempio di quello che è accaduto al di là dell’Oceano può rappresentare il paradigma su cui impostare un’azione a favore della ripresa nazionale, guardando in faccia la realtà esistente. Permangono, infatti, molte perplessità sulla capacità degli stimoli alla domanda interna privata e della crescita in valore degli attivi della bilancia commerciale al fine di accrescere la domanda aggregata, e di stimolare la ripresa economica.

L’unica possibilità è proprio quella di avviare una campagna di investimenti pubblici per diverse decine di miliardi di euro, con cui scuotere dalle fondamenta l’ingessato e agonizzante sistema economico nazionale. Alcune urgenze sono ben note: investimenti infrastrutturali di rete, energia, piano straordinario per l’edilizia popolare, piano per la sicurezza sismica e idrogeologica. Altre priorità potrebbero emergere come assi strategici dagli Stati Generali per lo sviluppo da convocare in ambito nazionale.

Ma, tra l’individuazione delle urgenze a cui rispondere con investimenti adeguati e la ricerca delle risorse per riuscire a fronteggiarle, esiste lo spazio per concrete proposte. Per esempio, si potrebbe mobilizzare una parte, quella non strategica, dell’immenso patrimonio pubblico dell’Italia stimato tra i 1.800 e i 1.000 miliardi di euro considerata immediatamente liquidabile, costituita da immobili, concessioni, crediti e partecipazioni.

Come farlo? Attraverso la costituzione di un fondo in cui far confluire una piccola parte del suddetto patrimonio, qualche decina di miliardi di euro, e collocando quote del medesimo fondo tra i grandi possessori di liquidità del Paese: assicurazioni, fondi pensione, fondi d’investimento e strategici, casse previdenziali, Cassa Depositi e Prestiti. Tale fondo avrebbe il compito di vendere gli “asset” entro un lustro, renumerando i titolari delle quote con un tasso pari a quelli versati per i titoli di stato di uguale scadenza. L’operazione di cartolarizzazione descritta,per entità e modalità, non creerebbe problemi agli operatori coinvolti e non violerebbe gli impegni assunti coi trattati comunitari.

Spetterebbe, quindi, al Ministero dell’Economia stabilire la natura giuridica del fondo in questione ed eventuali garanzie ulteriori. Ma sia in un caso che nell’altro, l’auspicata cartolarizzazione servirebbe a finanziare la spesa per investimenti, anziché ridurre esclusivamente il debito pubblico. Si tratta di un’ipotesi che andrebbe programmata con cura e gestita con lungimiranza,perché indispensabile soprattutto agli investimenti materiali ed immateriali rivolti principalmente al settore industriale e a quello manifatturiero,in particolare. L’indicazione, insomma, di una via da percorrere per riagganciare la crescita, secondo la logica per cui, per guardare a ripresa e sviluppo, è fondamentale anche porsi domande logiche, facendole seguire da risposte possibili.

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