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L’accordo di Palazzo Chigi di metà novembre aveva rasserenato il clima, rilassato il Colle ed allontanato dall’agenda politica le elezioni anticipate (che Napolitano non concederà mai fino che sarà lui a dare le carte) e le dimissioni di un Presidente tanto stanco quanto vessillo dell’autorevolezza nazionale.

Poi tutto si è precarizzato: Renzi, nonostante la conquista dell’Emilia Romagna e della Calabria, è uscito ridimensionato dal teste pre-elettorale sulle regionali, mentre Berlusconi ha registrato la disfatta di Forza Italia addirittura doppiata dai consensi della Lega.

Sale sulle ferite ancora sanguinati della lotta interna tanto al PD quanto a FI e ripercussioni dirompenti (quanto inevitabili) sugli accordi istituzionali con un Berlusconi ridisceso in piazza contro il Governo e contro la Magistratura e un Renzi in cerca di nuove alleanze per tentare di portare in porto una legge elettorale ancora per gran parte da pensare oltre che da scrivere.

È in questo contesto che piomba inatteso il messaggio del Quirinale: basta toto Quirinale. Io non mi dimetto, quindi avanti con l’approvazione della legge elettorale. Niente alibi!

Monito durissimo (seppur elegante) e assai più incisivo della minaccia di dimissioni che rischiava di diventare un vero e proprio scoglio sulla strada delle riforme.

Bacchettata per Renzi che ha dovuto correre ai ripari imponendo alla Direzione l’approvazione di un ordine del giorno con cui il PD si impegna ad accelerare al massimo l’iter delle riforme. Ma bacchettata anche, e forse soprattutto, per il “ribelle” Berlusconi che, consigliato dai familiari e dai dirigenti Mediaset (il vero partito dell’ex Premier), da Arcore ha subito confermato la fedeltà piena ed indiscussa al patto del Nazzareno.

Tutto chiarito? Nemmeno per sogno! Come la minaccia di dimissioni era stata utilizzata per distrarre l’attenzione dalle riforme, così la minaccia di restare rischia di divenire l’ovatta in cui riprendere le schermaglie sulle tecnicità della legge elettorale e bloccare, nuovamente, tutto.

Il problema era e rimane uno soltanto: lo spettro delle elezioni anticipate che il Cav. non vuole assolutamente e che Renzi, invece, non disdegna (anche se non auspica attivamente come un  tempo) soprattutto dopo l’implosione del “pianeta” 5 Stelle e la caratterizzazione sempre più estremista di un centrodestra a trazione Lega.

Napolitano resterà a garanzia di tutto e di tutti: del proseguimento della legislatura e dell’approvazione definitiva della legge elettorale. La scusa sarà l’expo come ora lo è stato il semestre europeo.

I puntini sulle “i”: dalla garbata minaccia di dimissioni al resto

L’accordo di Palazzo Chigi di metà novembre aveva rasserenato il clima, rilassato il Colle ed allontanato dall’agenda politica le elezioni anticipate (che Napolitano non concederà mai fino che sarà lui a dare le carte) e le dimissioni di un Presidente tanto stanco quanto vessillo dell’autorevolezza nazionale. Poi tutto si è precarizzato: Renzi, nonostante la conquista dell’Emilia Romagna e della Calabria,…

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