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Troppo scomodo e troppo ingombrante, sia per Matteo Salvini che per Luca Zaia. Per la sua concorrenza nella corsa alla leadership del centrodestra nazionale, per il suo peso in regione dentro e fuori dal partito, per la carriera politica in via di costruzione. Flavio Tosi andava cacciato dalla Lega perché dava fastidio ad alcuni al vertice del partito, soprattutto al segretario federale Salvini e al governatore veneto Zaia. Entrambi hanno cercato in tutti i modi i pretesti cui appigliarsi per sbatterlo fuori, cogliendo volo la prima occasione utile per sbarazzarsi di un avversario interno che non si potevano più permettere di avere.

LA FORZATURA E LA ROTTURA

Continuare a negare l’autonomia della Liga Veneta sancita dallo statuto federale del Carroccio nella decisione delle alleanze per le regionali, nella scelta dei candidati leghisti e delle liste civiche da affiancare a quella padana. Quindi il semi-commissariamento con l’imposizione della figura del mediatore, ma con diritto di ultima parola, impersonato dall’ex capogruppo alla Camera, Giampaolo Dozzo. Infine l’aut aut sulla Fondazione “Ricostruiamo il Paese”, sempre tollerata fino ad oggi. Sono questi, secondo una lettura che circola negli ambienti tosiani, i tre elementi sui quali Salvini e Zaia hanno spinto per forzare una rottura che, a detta dei fedelissimi del sindaco di Verona, “Flavio non l’ha assolutamente cercata. Anzi, avrebbe fatto di tutto per scongiurarla proponendo anche una mediazione e facendo un passo indietro su alcune sue richieste”. Ma i suoi avversari dentro al partito avevano soltanto bisogno di un pretesto per farlo fuori, e così è stato. A nulla sono valsi gli sforzi dei pontieri, i parlamentari Giancarlo Giorgetti e Gianluca Pini, a nulla i contatti e la lettera per tentare un’ultima mediazione. Lo schema era già stato deciso, il copione già scritto, andava solo recitato.

IL PESO DELLA FONDAZIONE

Quando il 6 ottobre 2013 la Fondazione “Ricostruiamo il Paese” ha debuttato al Palabam di Mantova davanti a 5mila persone, nessuno dei dirigenti leghisti si era azzardato a dire nulla. Anzi, come va ripetendo Tosi in questi giorni, l’allora segretario federale Roberto Maroni aveva avvallato la decisione di fare nascere questa organizzazione per supportare il sindaco nella sua battaglia per le primarie del centrodestra, senza entrare in competizione con la Lega. Pure Salvini, all’epoca segretario nazionale lombardo e aspirante leader federale, aveva dato il suo assenso o comunque non si era opposto. D’altronde, erano le settimane del Patto del Pirellone stipulato nell’ufficio in Regione a Milano di Maroni: a Flavio la battaglia per le primarie del centrodestra, a Matteo il partito. Eppure una settimana fa dall’organo massimo della Lega Nord, il consiglio federale, proprio Salvini ha intimato l’ultimatum: o con la Fondazione o con il partito, non c’è via di mezzo. Un modo per mettere Tosi con le spalle al muro.

IL RUOLO DI MARONI

E dire che proprio Maroni aveva ricevuto nell’ottobre scorso la tessera “ad honorem” della Fondazione tosiana, quando a Pordenone aveva presenziato all’inaugurazione del Faro (così si chiamano i circoli locali). Adesso però, dopo aver scandito senza se e senza ma che il candidato in Veneto è Zaia, il governatore lombardo ha condiviso la linea di Salvini in consiglio federale, prendendo le distanze da quello che un tempo era un suo fedelissimo come Tosi. Il motivo? “Maroni ha paura di perdere la poltrona in Lombardia – dice un tosiano di ferro – è preoccupato che salti l’alleanza con Forza Italia in Veneto (come chiede il sindaco espulso, ndr) perché a quel punto cadrebbe la sua giunta al Pirellone”. E così lascia l’amico Flavio al suo destino, “deluso e amareggiato” – così riferiscono i suoi – dal comportamento di Maroni, dal quale s’è sentito scaricato. “Maroni è quello che ne esce peggio di tutti, ha avuto un atteggiamento ondivago e ha tradito l’amico” confida un altro leghista di lungo corso.

LE ALTRE LISTE

Se la Fondazione di Tosi non è accettabile nella galassia leghista, lo è invece la lista Noi con Salvini nel Mezzogiorno, che si propone di superare il partito a vocazione territoriale per un progetto nazionale personalizzato e disegnato proprio sulla figura del leader. Un po’ come intendeva fare il sindaco veronese, che peraltro nemmeno ha messo il suo nome nella Fondazione. Ma a lui è stato impedito. Stesso discorso si può fare con la lista Maroni Presidente in Lombardia; anche questa incompatibile con lo statuto leghista?

L’ERRORE STRATEGICO DI TOSI

C’è un errore però che Tosi ha commesso e che alcuni dei suoi gli imputano. Un errore di comunicazione e di metodo, che in politica significano sostanza. Ha dato l’impressione di volersi subito proporre come antagonista di Zaia, di voler mettere in discussione il governatore ricandidato, facendo così passare il messaggio di lavorare per fare perdere il presidente di Regione più apprezzato d’Italia. Peraltro, nascondendo il vero nodo politico della vicenda, il vero obiettivo di questa battaglia: l’autonomia della Liga Veneta, lo stop alla gestione milanocentrica del partito da parte di Salvini e la possibilità di una leadership leghista alternativa a quella del segretario federale. Invece, complice la vicinanza con le elezioni regionali, la discussione è scivolata subito sul nome di Zaia, come se quello fosse l’unico problema per Tosi.

GLI SCENARI POSSIBILI

E adesso cosa succederà, si chiedono in tanti? Tosi si è preso qualche giorno di riflessione, ma è evidente che a questo punto, cacciato dalla Lega, si candiderà a governatore contro Zaia per dimostrare il suo peso politico, con i sondaggi che lo danno in Veneto attorno al 10%, quindi decisivo nella sfida della Lega con Alessandra Moretti del Pd. Difficile comunque che si verifichino dimissioni di massa dal partito, tanti dei più vicini al sindaco sceglieranno di rimanere all’interno per condurre da lì la battaglia. Resta da capire però come si muoveranno militanti e dirigenti alle prossime regionali, se lavoreranno per il candidato di partito Zaia o (più o meno segretamente) per Tosi.

Tosi cacciato, la rottura di Salvini e il ruolo di Maroni

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