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Il Presidente Matteo Renzi ieri ha visitato nel Sud la 3Sun, grande fabbrica produttrice di pannelli fotovoltaici a Catania, nel cuore di quella che è nota da anni come l’Etna Valley, ovvero uno dei maggiori poli dell’Ict nel mondo. Poi è salito in Calabria e in Campania nell’Avellinese a visitare altri siti industriali di eccellenza presenti nelle due regioni, smentendo in tal modo chi continua a presentare il Sud come una sorta di cimitero industriale. Esso, invece, ospita centinaia di piccole, medie e grandi industrie competitive e innovative che concorrono significativamente alle esportazioni del Paese.

Allora mi chiedo: e se – seguendo l’esempio di Renzi – ci concentrassimo tutti nel presentare all’Italia e al mondo la ‘convenienza’ Mezzogiorno, invece di raffigurarlo sempre e soltanto come un insieme di divari rispetto alle aree più forti del Nord? Per la verità, questa nuova rappresentazione del Sud l’hanno offerta nell’ultimo anno l’Accademia dei Lincei e la Fondazione Edison che hanno pubblicato gli atti del loro grande convegno che, nell’ottobre del 2013, a Roma analizzò le dinamiche dell’economia meridionale con un’ottica attenta a coglierne i persistenti punti di forza che sono autentici pilastri dell’economia nazionale; e chi scrive venne invitato a presentare una relazione sulle grandi imprese localizzate nel Meridione, poi pubblicata nel volume.

Se non partiamo (tutti insieme) da una rappresentazione diversa del Sud – che non è segnato solo dal divario col Nord e dalle fin troppo note criticità socioeconomiche – indicandovi le risorse già esistenti su cui puntare per la sua crescita, rischiamo, a mio sommesso avviso, di attardarci in una denuncia poco utile a chi deve decidere, in una situazione peraltro di persistente carenza di risorse pubbliche.

Intanto si acceleri la spesa dei residui fondi Ue del 2007-2013, nel mentre è auspicabile che le Regioni del Sud abbiano impostato una buona programmazione del nuovo ciclo di fondi europei 2014-2020. Non si ostacolino oltre – perché non ne parla nessuno? – investimenti nel Sud dell’Eni, accelerabili alla luce dello Sblocca Italia, ma ancora criticati sui territori da parte degli ambientalisti. Inoltre si facciano effettivamente partire tutti gli altri investimenti previsti da tempo nel Meridione e scongelati dallo Sblocca Italia come le prospezioni in Adriatico alla ricerca di giacimenti petroliferi, senza organizzare – come purtroppo sta accadendo in diversi comuni rivieraschi pugliesi – marce e contestazioni contro l’arrivo di grandi piattaforme per le esplorazioni sottomarine, da eseguirsi – è fin troppo ovvio ribadirlo – nel rispetto di tutte le misure di sicurezza per le persone e per l’ambiente che oggi è possibile attuare.

Il Meridione, insomma, può dimostrare a chi vi risiede e al Paese che nelle sue regioni vi sono (tutte) le risorse naturali, industriali, scientifiche e culturali per avviare – o proseguire là dove già intrapreso come in tante zone della Campania, in Puglia, in Abruzzo, in Basilicata, nella stessa Sicilia e in Sardegna – il cammino virtuoso che può (e deve) portare questa parte dell’Italia ad essere una delle aree più avanzate del Mediterraneo e dell’Europa. Può farlo, anzi deve farlo.

Cosa manca infatti nel Sud perché questo avvenga, le risorse finanziarie forse? Quelle comunitarie, integrate dai fondi nazionali e da quelli privati nazionali e internazionali (da mobilitare con competenza), se ben impiegate, sarebbero sufficienti a favorire l’ulteriore rafforzamento di tante aree del Mezzogiorno. Pertanto non bisognerebbe (finalmente) prendere atto che vi sono già molti territori meridionali che hanno raggiunto tassi di sviluppo comparabili con quelli di diverse zone settentrionali, nelle quali peraltro si sono avvertiti durissimi i colpi della lunga crisi dell’economia nazionale? E poi, diciamolo ancora una volta, un Meridione autopropulsivo può diventare sempre di più uno dei motori della crescita dell’intera economia nazionale.

Agricoltura ormai largamente competitiva, industrie piccole, medie e grandi di valenza strategica per il Paese – dall’estrazione petrolifera all’acciaio, dalle energie rinnovabili all’aerospazio, dalla chimica di base e fine all’automotive, dall’agroalimentare al tac riqualificato; e poi ancora turismo di eccellenza, parchi e musei archeologici di rilievo internazionale; vento, sole, Università e centri di ricerca prestigiosi come il Cira di Napoli e il Cetma di Brindisi per i nuovi materiali; Istituti di credito dal Banco di Napoli a quelli locali, come la Popolare di Bari con presenza in tutta Italia e numerose Banche di credito cooperativo fra le quali spiccano quelle in Puglia e in Sicilia; Autorità portuali di Gioia Tauro, Napoli, Salerno, Taranto e Brindisi che stanno avviando lavori fondamentali come nel capoluogo ionico.

Nulla vieta, allora, a questo territorio e alle sue forze produttive e sociali di crescere e di competere, sconfiggendo anche con l’aiuto delle Istituzioni la criminalità organizzata. Ed infatti sono tante ormai le Pmi meridionali, accanto alle grandi, che stanno rafforzando il loro posizionamento competitivo sul mercato a dispetto della crisi, innovando prodotti e processi di lavorazione e aggredendo nuovi mercati. E bisognerebbe parlare sempre di più di questi protagonisti dell’economia locale cui non sempre – diciamolo francamente – si presta la dovuta attenzione su molti mass media.

Allora, se tutto questo è (fortunatamente) vero, per difendere e far crescere ancor più velocemente i suoi territori siano gli amministratori locali ad impegnarsi a fondo con competenza e passione civile, e con loro i parlamentari eletti nelle circoscrizioni, gli stakeholder locali, i giovani professionisti emergenti (ma non quelli del meridionalismo inteso come professione).

Ma per piacere, basta con le lamentazioni, con il rivendicazionismo permanente, con la sollecitazione di risorse perennemente ‘aggiuntive’ rispetto a quelle già stanziate per il Meridione, senza mai una serrata autocritica su proprie responsabilità per tutto quello che non si è voluto o saputo fare a livello locale per il decollo dell’Italia meridionale.

Il Sud può farcela, e bene anche, valorizzando tutte le sue capacità e i beni enormi di cui dispone, e, soprattutto, senza chiedere o minacciare, come alcuni rappresentanti dell’estremismo ecologista, le dismissioni coatte (per via giudiziaria) di grandi fabbriche e centrali elettriche – come ad esempio l’Ilva a Taranto e la Federico II dell’Enel a Brindisi, che è uno dei maggiori siti di generazione in Italia – ma esigendo che quegli impianti diventino sempre più ecosostenibili. Insomma, continuare a credere e a far credere che servano per un nuovo grande sviluppo del Mezzogiorno risorse sempre ‘aggiuntive’, quando invece quelle già disponibili (italiane e comunitarie) non si riesce a spenderle per intero e rapidamente, è un danno consapevolmente arrecato alle (enormi) potenzialità del suo sistema socioeconomico che viene considerato e rappresentato sempre e soltanto come un sistema incapace di autopropulsività.

Federico Pirro, Università di Bari – Centro studi Confindustria Puglia

(Foto: nomfup/Instagram)

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