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Ora che tutti si stupiscono osservando il rovinoso franare della Russia, che pure era previsto e prevedibile con un po’ di attenzione, si ha gioco facile a far notare che nulla di tutto ciò dovrebbe stupire chi ha consumato ore e ore a leggere i preoccupati resoconti delle istituzioni finanziarie internazionali sulla crescente marea di rischi che le economie emergenti hanno accumulato in questi anni nei quali hanno goduto di crediti facili e crescita rigogliosa.

Tutti guardano alla Russia, ma solo perché il danno lì ormai è conclamato, ma che dire della Turchia, la cui moneta sta franando sul dollaro mentre il rublo tocca record negativi inusitati? E del Sudafrica,? del Messico? del Brasile? o della stessa Cina?

Per non ripetere cose già da lungo tempo scritte, prendo spunto dall’ultima analisi disponibile sulla situazione dei paesi emergenti non a caso contenuta nella Financial stability review della Bce pubblicata a novembre dove un box si chiede alquanto retoricamente se “la crescente importanza delle banche dei paesi emergenti pone un rischio sistemico”.

Mi limito a questo perché fotografa un aspetto del problema ancora poco osservato, ossia la possibilità che le banche di questi paesi hanno di destabilizzare il già periclitante sistema finanziario globale, sempre più ciclotimico. Ai più curiosi segnalo anche l’ultima rassegna trimestrale della Bis, di cui ho già accennato, che contiene diverse informazioni sul rischio emergenti, a cominciare dall’esposizione delle banche europee proprio verso la Russia e l’Ucraina, nonché verso la Cina per sua fortuna entrata in un cono d’ombra dei mercati. Per ora.

La prima informazione interessante la traggo da un grafico che quota il numero di banche dei paesi emergenti entrate nella classifica delle top 100 per asset totali. Una premessa: quando la Bce parla di emergenti si riferisce a Sudafrica, India, Singapore, Russia, Corea del Sud, Brasile e Cina.

Bene. Nel 2008 le banche degli emergenti nella top 100 erano 17, con la Cina a far la parte del leone con otto banche in classifica. Nel 2013, ultimo anno analizzato dal grafico, le banche emergenti entrate in classifica erano 28, delle quali 15 cinesi. Al grande balzo, oltre alla Cina, hanno contribuito la Corea del Sud, prima assente, (quattro banche) e il Brasile (quattro). Ma anche Singapore, che adesso ha due banche in classifica, come la Russia, che è rimasta allo stesso livello del 2008.

Ciò spiega perché la Bce ne deduca che “uno degli effetti nascosti della crisi finanziaria globale è stata la forte crescita del peso delle banche dei mercati emergenti nel sistema finanziario globale”. Non so voi, ma io ho avvertito un filo di inquietudine quando ho letto questa considerazione.

La pervasività della finanza in questi paesi è aumentata anche e soprattutto per i forti afflussi di capitali che la crisi ha direzionato verso questi paesi, vuoi per la fame di rendimento, vuoi perché venivano percepiti come gli unici capaci di crescere.

Qualunque sia stata la ragione, l’esito è stato che la capitalizzazione di queste banche è quasi quadruplicata in sei anni ed è arrivata a pesare il 35% del valore globale del mercato bancario. Almeno fino a quando, nel maggio 2013, la Fed non accennò solo parlandone a un inizio di tapering terremotando mezzo mondo. Per lo più emergente.

La starnuto della Fed provocò una terribile febbre agli emergenti e ciò bastò a far comprendere quanto il boom di questi paesi fosse scritto sull’acqua. Il 35% di valore globale degli asset, infatti, scese repentinamente sotto il 30%, mentre i valori complessivi passarono da 1.750 miliardi di dollari a circa 1.400.

La veloce retromarcia della Fed tornò a invertire il clima, ma sempre con circospezione. Il mondo aveva imparato la lezione, essendo peraltro troppo tardi per tornare indietro.

Sicché nel 2014 le banche emergenti sono tornate sopra il 30% della quota del valore globale delle banche per un valore di circa 1.500 miliardi. Ed è con queste cifre che tutti noi dobbiamo fare i conti. E chi pensasse che in fondo non ci riguardano, le traversie di queste entità commetterebbe un errore grave. Il mondo è troppo interconnesso per ignorare le fibrillazioni di una banca russa o cinese.

Ciò malgrado la Bce nota che “finora le banche emergenti hanno una presenza regionale”. Ma ciò non tiene conto del fatto che una crisi bancaria non è mai un fatto isolato in un paese, avendo influenze su tutti i settori dell’economia, sia interno che esterno, sia privato che pubblico.

Con un’aggravante: “Gli aspetti regionali possono avere conseguenze rilevanti per la stabilità dell’euroarea”.

Già, il problema è che “le banche emergenti residenti in paesi vicini all’euroarea/Ue hanno recentemente intensificato le loro connessioni con l’eurozona e la Ue”.

“Poiché lo stress finanziario fra le banche dei paesi emergenti può essere trasmessa all’eurozona sia a causa dell’esposizione diretta che quella indiretta, le banche emergenti significative possono avere ripercussioni sulla stabilità del settore finanziario europeo”.

Adesso che sentite parlare della crisi russa sono certo inizieranno a fischiarvi le orecchie.

Le banche “emergenti” destabilizzano l’eurozona

Ora che tutti si stupiscono osservando il rovinoso franare della Russia, che pure era previsto e prevedibile con un po’ di attenzione, si ha gioco facile a far notare che nulla di tutto ciò dovrebbe stupire chi ha consumato ore e ore a leggere i preoccupati resoconti delle istituzioni finanziarie internazionali sulla crescente marea di rischi che le economie emergenti…

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