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Il governo compie un anno. Al primo giro di boa il bilancio politico segna un grande cambiamento rispetto al passato, l’avvio reale di un cambiamento all’interno del principale partito di governo e il successo nella designazione ed elezione del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella da parte dello stesso parlamento che all’inizio del 2014 era rimasto intrappolato nell’incapacità di scegliere.

Ma sul fronte economico, caratterizzato dall’avvio e dalla realizzazione di un ampio ventaglio di riforme, i risultati sono certamente deludendi. Ci sono nuovamente i primi segnali di una ripresa, ma – come già è accaduto in passato – c’è se sempre il rischio evidente che una rondine non faccia primavera.

La retorica di un anno di sfide e bracci di ferro descrive un anno di governo ricco di successi. I dati economici dicono altro. Soprattutto se si guardano alle tre necessità del Paese: la crescita economica, il lavoro, le tasse.

All’arrivo di Renzi, nel febbraio scorso, gli ultimi dati di Pil segnavano una contrazione dell’1,9% nel 2013 e un quarto trimestre con un segno positivo (+0,1%). Quando Renzi approda a Palazzo Chigi più di qualcuno pensa ad una mossa furba: l’economia italiana, dopo due anni di pesante recessione, non può che rimbalzare. Lo deve aver pensato anche il neo premier: così il primo provvedimento programmatico del governo prevede un 2014 in crescita dello 0,8% e un 2015 con un pil in rialzo dell’1,3%.

La realtà, ad un anno di distanza, è diversa. Gli ultimi dati Istat segnano un 2014 in calo dello 0,4% e un quarto trimestre dell’anno che, dopo trimestri di contrazione, registra un andamento piatto. Contrariamente a quanto scritto da molti, non è un’uscita dalla recessione: crescita zero significa che anche tra ottobre e dicembre l’economia si è mantenuta sui livelli (in calo) del terzo trimestre. Ecco, la buona notizia – se proprio si vuole guardare il bicchiere mezzo pieno – è che l’economia non si è contratta ancora.

Il lavoro. Quando Matteo Renzi è diventato premier la disoccupazione era al 13%, il livello più alto dal 1977 (l’anno di piombo, quello della P38, per intenderci). La disoccupazione giovanile al 42,3% . Ora invece i due parametri sono calati al 12,9% e al 42%. Un cambiamento impercettibile. Certo a dicembre le statistiche Istat hanno registrato 100.000 nuovi occupati. Ma poi, grazie ai dati diffusi dalle Finanze sulle nuove partite Iva, si è scopeto che 70.000 erano nuovi imprenditori: per loro da gennaio sarebbe cambiato il regime del ”minimi”, con un prelievo salito dal 5 al 15% (ma con la possibilità di mantenere il vecchio regime per tre anni se lo si era attivato; così molti non hanno voluto perdere un regime più che conveniente prima che venisse cambiato.

L’altro nodo sono le tasse. La pressione fiscale, che nel 2014 si è fermata al 43,3%, lo stesso livello dell’anno precedente, e quest’anno – nelle stime del governo – salirà al 43,4% e poi al 43,6% nel 2016.

E gli 80 euro? Nati come uno sconto fiscale si sono concretizzati in un bonus che non incide quindi sul dato della pressione fiscale. Ma bisogna anche dire che, limitati ad una piccola fascia di contribuenti (i lavoratori dipendenti con redditi medio bassi), sono iniziati ad arrivare a maggio e non hanno spinto i consumi proprio perchè i cittadini hanno dovuto fronteggiare la Tasi (a giugno). Certo sono stati confermati anche nel 2015 e per gli anni a venire, ma la volontà di estendere il beneficio anche ai pensionati, agli incapienti e alle partite Iva è rimasta solo una promessa.

Sul fronte tasse, bisogna pur dirlo, il governo ha però sterilizzato gli aumenti Iva e gli altri rincari che il governo di Monti aveva messo a garanzia dei risultati di bilancio. Ma questo perché non ci sono stati i tagli della ”spending review” e il commissario Carlo Cottarelli è stato rispedito a casa.

Insomma, al momento i successi di un anno di governo non hanno prodotto grandi effetti.
Per ora.

Già perché, al di la delle promesse di accelerazioni improbabili, le grandi dinamiiche macroeconomiche non si muovono con uno schiocco di dita. Così dall’inizio dell’anno sono stati tolti i contributi ai nuovi assunti (per tre anni) e, dopo il via libera finale, è arrivato il nuovo contratto a tutele crescenti, con l’articolo 18 depotenziato. Poiché gli imprenditori hanno avuto anche un sostanzioso sconto Irap (che alleggerisce proprio la posta del costo del lavoro) è facile immaginare che l’occupazione dovrà tornare a crescere, con benefici sui consumi e sull’economia. I primi segnali si vedono. E un po’ di ottimismo lo si può pur avere.

Leggi l’articolo integrale sul blog di Corrado Chiominto

Bilancio in chiaro oscuro del primo anno di governo Renzi

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