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Il Parlamento europeo vuole dividere Google in due per spezzare il suo predominio sul mercato della ricerca su Internet, ma l’audace assalto al colosso hitech americano guidato dagli europarlamentari del Partito Popolare europeo e dei Socialisti scatena, com’è ovvio, le reazioni del mondo dei media e della politica a stelle e strisce.

FORBES: UNA PROPOSTA “FOLLE”

Come noto, l’Europarlamento si prepara a votare una risoluzione che propone per tutte le aziende della web search la separazione (“unbundling”) delle attività di ricerca da ogni altra attività commerciale. Lo scopo del provvedimento sarebbe quello di indebolire il dominio di Google sul mercato della ricerca (in Europa Big G ha uno share di oltre il 90%). Secondo gli autori della bozza, i risultati delle ricerche forniti da Google non seguirebbero criteri qualitativi, ma gli interessi del colosso del web. La risoluzione, che sarà votata giovedì 27 novembre, non cita esplicitamente Google ma sostiene che la separazione dei motori di ricerca da altri servizi commerciali andrebbe considerata come possibile soluzione al predominio di mercato.

Forbes ha subito pubblicato un commento molto sarcastico facendo notare che il Parlamento europeo non ha alcun potere di dividere in due un’azienda e che tale potere è se mai della Commissione europea (infatti finché il provvedimento non sarà sottoposto direttamente alla Commissione europea, anche se approvato dall’Europarlamento, non ha altro valore che di semplice raccomandazione). Inoltre, continua Forbes, la proposta di dividere in due i motori di ricerca è semplicemente “folle”: ordinare a Google e a qualunque motore di ricerca di staccarsi dalle sue altre attività commerciali equivarrebbe a uccidere queste aziende, perché il loro modello di business si basa sulla vendita di pubblicità, che finanzia l’attività della search.

LA REAZIONE UNANIME DEI POLITICI AMERICANI

Oggi le proteste si moltiplicano. I politici americani hanno replicato alle autorità europee accusandole di voler politicizzare l’indagine antitrust in corso nei confronti di Google. Agli americani la tendenza europea a iper-regolare e passare al vaglio le pratiche delle aziende private non è mai piaciuta, ma raramente i politici Usa sono intervenuti nelle questioni europee di Big G. Stavolta, però, la risposta non si è fatta attendere ed è unanime: Repubblicani e Democratici del Senate finance committee e dell’House ways and means committee hanno scritto una lettera congiunta alle autorità europee esprimendo “allarme” sulla proposta del cosiddetto “unbundling”. La lettera afferma: “Le proposte che sembrano prendere di mira le aziende tecnologiche americane” sollevano dubbi “sull’impegno dell’Ue verso un mercato aperto”. “Queste e simili proposte”, continua le nota, “erigono muri anziché ponti e non sembrano considerare l’effetto negativo che tali politiche potrebbero avere sulla più ampia relazione commerciale tra Usa e Ue”.

In un’altra lettera ai leader dei principali schieramenti politici dell’Europarlamento, Bob Goodlatte, presidente dell’House judiciary committee, si è detto “preoccupato” dal fatto che gli Europarlamentari “incoraggino azioni antitrust che appaiono motivate da ragioni politiche e non basate su principi legali”.

Una terza lettera firmata da diversi membri del Congresso americano mette in guardia sul fatto che la risoluzione andrebbe “a danno dell’innovazione e degli investimenti da parte delle aziende di Internet statunitensi”.

CCIA: “POLITICI EUROPEI POCO CREDIBILI”

Separatamente, in una lettera inviata al Financial Times, Ed Black, direttore della CCIA, associazione dell’industria tecnologica americana che rappresenta aziende come Google ma anche suoi concorrenti, sottolinea che la politicizzazione del caso è “molto preoccupante” e che con la sua proposta l’Europa si allontana dai “solidi principi legali ed economici, minando la credibilità dei suoi politici e la legittimità delle sue azioni antitrust. Nel fare appello a un’azione contro Google, i politici europei hanno chiamato in causa di tutto, dalle rivelazioni di Snowden, all’evasione fiscale, a preoccupazioni sull’austerity”, scrive Black. “Nessuno di questo temi dovrebbe essere rilevante in un’indagine su abuso di posizione dominante”.

Anche la missione Usa in Ue si è espressa sulla questione con una email in cui ha detto di “aver preso nota con preoccupazione” della bozza di risoluzione dell’Europarlamento. “E’ importante che il processo con cui si identificano eventuali danni alla libera concorrenza e possibili rimedi si basi su dati obiettivi e imparziali e non venga politicizzato”, si legge.

Gli esperti legali sono ugualmente perplessi. La mossa del Parlamento europeo appare insolita e rischia di creare un pericoloso precedente. “E’ un pessimo segnale”, afferma Mario Mariniello, ex funzionario dell’antitrust europeo che ora lavora per il think tank di Bruxelles Bruegel. “La politicizzazione è arrivata all’estremo”.

FRONTE DIVISO ANCHE IN EUROPA 

Ma anche in Europa il fronte anti-Google non è compatto. Günther Oettinger, commissario digitale dell’Ue, ha detto che non ci dovrebbe essere nessuna separazione di Google e, parlando alla stampa tedesca, ha definito queste risoluzioni “strumenti dell’economia pianificata, non dell’economia di mercato”. Non che Oettinger sia un amico di Google: in passato ha ribadito la necessità che Google sia “neutrale” nei suoi risultati di ricerca e ha anche sollevato l’idea di una tassa Ue sull’uso da parte di Big G di materiale protetto da copyright. Tuttavia il suo appello a un atteggiamento di buon senso riporta la discussione su un binario di cautela che sarà sicuramente gradito agli americani.

Lo stesso partito di Angela Merkel, il CDU, è spaccato sulla questione Google. Kurt Lauk, ex consulente economico della Merkel, ha descritto la mossa dell’Europarlamento come la mossa dei “perdenti”: “Alcuni parlamentari europei stanno alimentando le loro fobie invece di usare le opportunità del web”, ha detto Lauk.

Google, che inizialmente non aveva rilasciato commenti, si è fatta nel frattempo sentire. In una email alle autorità europee, Antoine Aubert, direttore del public policy team di Google a Bruxelles, si è detto “preoccupato” dalla clausola della risoluzione dell’Europarlamento che chiede alla Commissione di vagliare modi per dividere in due le attività dei motori di ricerca. “Questa proposta non trova sostegno nei risultati delle indagini della Commissione europea o delle inchieste della Federal trade commission negli Usa”, scrive Aubert. E conclude: qualunque esito dell’indagine antitrust in Ue “dovrebbe essere proporzionale ai timori portati alla luce da un’analisi approfondita e rigorosa basata su principi legali ed economici”. Come a dire, non politici.

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